Vivere non è abitare. Sembrano sinonimi ma sono realtà diverse perché implicano un coinvolgimento differente. Si può vivere in un luogo senza che questo riesca a coinvolgerci pienamente, senza lasciare tracce sulla nostra pelle o sulla nostra mente. Senza che possa modificare o interagire appieno col nostro modo di essere.
L’immaginario che ci accompagna e rende unico una spazio/luogo è la vera formula abitativa. E’ il modo in cui ci fa vivere quel luogo, che sia una casa, una baita, un appartamento, un quartiere o una intera città. Uno spazio con cui interagiamo che è anche custode delle nostre memorie, colori, odori, profumi. Che sa donarci emozioni e dal quale riceviamo in cambio una sorta di pacificazione.
Si può vivere in un luogo e non sentirsi a proprio agio appieno, incapaci di farcelo entrare sottopelle e “sentire a casa”. L’abitazione, che proprio come un abito, dovrebbe farci sentire comodi, a volte non basta ad appagare il nostro bisogno di essere parte integrante di quel luogo. Per abitarlo a tutto tondo serve un tocco, una piccola magia che lo trasformi da un bel contenitore in qualcosa di più alto. Che sia a nostra somiglianza o che sappia colpire la nostra essenza più profonda.
Si può vivere ovunque, in una casa, in un hotel, in ospedale, nella strada o in un carcere. Ma non si può abitare in nessuno di questi luoghi se non gli si concede quella unicità che sappia solleticare i nostri sentimenti e farcelo sentire “mio”. I grandi viaggiatori portano con se piccole cose che sappiano scaldare anche il luogo più anonimo. Una foto, un ninnolo, un origami, su cui posare lo sguardo per portare con sé un pezzetto di quell’abito che ci completa.
Possiamo collezionare mobili, arredi fantastici, seppellirci di suppellettili, o dedicarci ad arredi minimal o funzionali. Ma se questi non sanno soddisfare il nostro modo di essere, non saremo mai nel luogo eletto che ci completa. Il luogo dove riusciamo ad esprimere la nostra intimità, dando un’anima e un “calore” particolare al nostro luogo d’incanto .

