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La dolce appiccicosa Baklava

Il dolce è una parte importante dell’identità culinaria di così tanti luoghi che molti popoli ne contestano l’origine

Sgombriamo subito il campo, lo troverete al maschile o al femminile, come pasticcino o torta. A noi piace al femminile, ma potete chiamarla il baklava ciò che importa è che sia buona. Tra i luoghi che sicuramente conoscono meglio e prepara meglio la baklava c’è la Turchia. Considerato il dolce nazionale per eccellenza, ha sempre un posto importante al centro delle vetrine delle pasticcerie. L’origine potrebbe essere siriana, Damasco e Aleppo sono tra le città che si contendono il primato, ma è ancora la Turchia ad averne fatto un vero business. La dolce appiccicosa Baklava.

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Pasta fillo come ingrediente particolare

Alla base del celebre dessert, tanti strati di pasta fillo, quasi trasparente e croccante ripiena di noci, sciroppo e miele. L’uso del miele la rende appiccicosa, perciò chi mangia baulava è obbligato a leccarsi le dita. La baklava viene preparata con 10 o 11 strati di pasta fillo, stesa così sottilmente da diventare una velina attraverso la quale si può vedere il mondo. Gli strati vengono ancora sovrapposti a mano, per questo il procedimento è lento e necessità di manualità molto delicata.

Non è un prodotto industriale

Esistono baklava di produzione industriale ma sono riconoscibili per lo spessore della pasta. Nessun turco, greco, afghano, iraniano, armeno o siriano porterebbe mai a casa o in dono, una torta non artigianale. I pasticceri che la preparano hanno bisogno di un training  piuttosto lungo. Un pasticcere in grado di stendere velocemente la pasta senza romperla avrà sempre un mestiere

Lo conoscevano già gli Assiri

Già gli assiri conoscevano un dolce molto simile a questo, perciò le origini si perdono nel tempo. Proprio l’area del loro impero è quella doveva baklava è diffusa e percepita come il dolce base. Il dolce che ti accompagna dall’infanzia fino alla matura età. Le versioni più vicine alle attuali risalgono a 5 secoli fa, quando a regnare era l’Impero ottomano.

La dolce appiccicosa Baklava

Dolce delle feste e prezioso

Era il dolce delle feste e veniva conservato per speciali evenienze. Era il dolce delle festività ufficiali e di rappresentanza. Era costoso perché le materie prime erano “preziose”, miele, zucchero e noci. Inoltre serviva quella speciale abilità per realizzarlo. La baklava ha anche versioni salate o  “meno dolci”. Già i romani ne realizzavano una versione ripiena di formaggio e miele, insaporita con foglie d’alloro, molto energetica.

In dono ai Giannizzeri

I Giannizzeri contribuirono creare il mito della baklava in quanto durante il ramadan a loro erano riservati i vassoi del dolcetto. Era un rito molto sentito a cui seguiva una processione. I cristiani a loro volta interpretarono il dolce nel periodo quaresimale con ben 40 strati di pasta, oppure con 33 strati a rappresentare gli anni di Cristo. Questa tradizione dei 33 strati di sfoglia resiste nella torta pasqualina della tradizione genovese. Anche gli ebrei la servivano in feste rituali. Le più grandi religioni son tutte attraversate dalla dolce appiccicosità di questo dessert.

Tante varianti, spezie e sciroppi

Tipico dolce di corte, ogni rappresentante dell’Impero ottomano portava con se questa tradizione ed essendo un dolce ricco e riservati a nobili e cortigiani, contribuì a donargli un’aura mitica e quasi mistica. Non tutti gli ingredienti erano sempre disponibili e nacquero diverse varianti, la più celebre delle quali è a base di pistacchio. In altri paesi troverete profumi speziati di cannella e chiodi di garofano, in altre al posto delle noci troverete le mandorle.

Il dolce dei ricordi d’infanzia

Per la sua particolare dolcezza la baklava è il dolce dei ricordi d’infanzia. Ogni popolo riconosce nell’armonicità dei sapori del ripieno le proprie origini. Come sempre i greci rivendicano le origini del dolce e la querelle coi turchi è infinita e irrisolvibile, come quella siciliana tra arancino e arancina. Un consiglio se vi offrono baklava, mangiatela, leccatevi le dita e state zitti, non innescate nessuna polemica sul luogo d’origina. La dolce appiccicosa Baklava

La dolce appiccicosa Baklava

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Rintracciato un curry di almeno 20 secoli

E’ un mix di spezie che veniva commercializzato in tutto il sudest asiatico e che è ormai comune in ogni cucina fusion

Un nome inventato che non significa nulla

Il nome curry è stato utilizzato dagli occidentali che acquistavano i mix di spezie per esportarle in Europa. Ne sono state rintracciate tracce in antichi mortai e pestelli con gli ingredienti molto simili a quelli attualmente utilizzati. Il nome deriva dalla contaminazione di un termine tamil “kari” che significa, salsa, condimento. Non identifica un solo elemento ma una fusione di diversi ingredienti, pertanto il curry, come lo conosciamo in Europa, in Asia ha cento nomi diversi. Forse non è la spezia più antica ma sicuramente ci si avvicina. Rintracciato un curry di almeno 20 secoli

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Spezie necessarie per coprire i cattivi odori

Sono stati i coloni europei ad utilizzarlo per primi, per farsi capire dai locali e poterne fare commercio. Indicava qualsiasi pietanza speziata e le relative spezie. La necessità di insaporire le carni in modo da coprire i cattivi odori delle carni e del pesce, in tempi in cui la refrigerazione non esisteva, ne facevano un ingrediente molto gradito. Fu alla base di grandi fortune per le compagnie commerciali come quella delle Indie Orientali.

Da un sito del Sud Vietnam 

Dalle tracce di materie prime contenute negli antichi mortai e relativi pestelli, rintracciati in un sito archeologico del sud Vietnam, i ricercatori sono riusciti a riconoscere almeno 7 ingredienti. La cosa curiosa è che quegli ingredienti sono gli stessi ancora utilizzati oggi per produrre il mix di spezie. Curcuma, chiodi di garofano, zenzero e zenzero in polvere, valanga, cannella, latte di cocco e noce moscata. Attualmente vengono aggiunti altre spezie ma tutti questi sono ancora alla base della ricetta da almeno due millenni.

un curry di 20 secoli

Tanti mortai e pestelli

La presenza di grandi quantità di pietre in cui pestare e mescolare le spezie, ha fatto comprendere che erano sicuramente destinate al commercio, e non all’uso delle piccole comunità locali. La città dove sorgeva il sito archeologico è una in una zona di collegamento tra molte via di accesso terrestre, fluviale e marino. Buoni collegamenti hanno permesso una buona circolazione del curry, in un’area che andava dall’Oceano Indiano a quello Pacifico.

Navi e carovaniere attraverso tutta l’Asia

Alla distribuzione in Medio Oriente pensarono le rotte commerciali europee o le carovaniere che trovavano sbocco sulle coste del Mediterraneo. Il sito era una sorta di collettore di spezie provenienti da diverse aree, ad esempio i chiodi di garofano vengono raccolti sono in un’area ristretta dell Indonesia, ma erano parti della ricetta. Perciò gli ingredienti arrivavano qui, erano lavorati e poi distribuiti ovunque via mare o terra.

Datazioni al carbonio

Le datazioni dei semi e delle sostanze risalgono al 200 A.C. e datano molto più in passato la conoscenza di questa ricetta. Uno dei mix profumati più longevi, ed uno dei più fortunati. Da decenni la cucina etnica si serve di spezie per rendere appetitosi i propri piatti e questa mescolanza di sapori e profumi ha fatto la fortuna di molte cucine, ad esempio la thai, la vietnamita e quella indiana, rendendo decisamente mondiale la sua sfera d’influenza. Rintracciato un curry di almeno 20 secoli

un curry di 20 secoli

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Stappato lo spumante invecchiato per sei mesi sott’acqua

Le 1.700 bottiglie depositate sul fondo del mare in Norvegia sono state recuperate.

Nata da un progetto a quattro mani tra una compagnia di crociere norvegese ed un’azienda vinicola inglese. Le casse di vino erano immerse per 6 mesi in una zona a nord della Norvegia con temperature costanti tra i 5 e gli 8 gradi Celsius. Le casse erano a circa 30 metri di profondità in modo da non essere sollecitate dal moto ondoso. Stappato lo spumante invecchiato per sei mesi sott’acqua

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Esperienza non nuova

L’esperienza di vini fatti invecchiare in profondità non è insolita. Sono diversi i progetti in corso, sia in acque marine e lacustri. Anche nel Lago di Garda ad esempio è possibile incontrare i grandi cestelli colmi di bottiglie posti a maturare a temperature basse e costanti. Un effetto cantina che in tempi di riscaldamento globale potrebbe essere una risorsa futura.

Per celebrare un evento

Il vino invecchiato in fondo al mare è nato per festeggiare un anniversario della compagnia di navigazione e crociere. Le bottiglie sono a bordo delle sue navi e gli ospiti potranno brindare con quelle bollicine speciali. I sommelier che hanno stappato le prime bottiglie, si sono dichiarati molto soddisfatti, e di aver ottenuto quanto desiderato.

Stappato lo spumante sott'acqua

Sigillate con la ceralacca

Le bottiglie per evitare ogni contaminazione con le acque marine sono state sigillate con la ceralacca. La consistenza e il perlage erano migliorate, così come il gusto. Gli enologi avevano immaginato che il mantenimento in acqua per un semestre, quasi al buio e con una pressione esterna maggiore, avrebbe influenzato la rotondità del vino. Successo pieno a detta dei degustatori che lo hanno potuto assaggiare, con note e sentori agrumati e minerali.

Anche cocktail

Per proseguire nell’esperienza alcolica, a bordo delle navi da crociera, vengono serviti cocktail con ingredienti speciali. Uno di loro è a base di vodka insaporita coi resinosi aghi di pino raccolti in un’isola norvegese molto remota. Immaginiamo che anche i gin, non solo trasparenti, che sono molto di moda attualmente, siano stati insaporiti e arricchiti di colori in modo inusuale per garantire tutto uno spettro di gusti. Non resta che sorseggiare spumante e cocktail mentre la nave va. Stappato lo spumante invecchiato per sei mesi sott’acqua.

Stappato lo spumante sott'acqua
Stappato lo spumante sott'acqua

Credits: Pixabay e Hurtigruten

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In Francia vietati i voli brevi.

Una scelta che fa discutere ma che potrebbe essere copiata 

Sono decisamente poche le tratte ad essere interessate a questo divieto, perché sono legate ad alcune condizioni. Le tratte che non superano le 2,5 ore di volo possono essere soppresse, ma solo se ci sono corse in treno che possano sostituirle. I treni devono avere orari regolari ed essere presenti nelle ore che possono interessare il grande pubblico. Servirà un ulteriore rafforzamento dei percorsi su strada ferrata per migliorare il servizio. In Francia vietati i voli brevi

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Un territorio che aiuta

A parte una limitata zona alpina ed i Pirenei, la Francia ha un territorio pianeggiante o di piccole colline, adatto a sviluppare bene una rete ferroviaria veloce. I leggendari TGV già coprono una larghissima parte del territorio. Facile fare un rapido confronto con la situazione italiana. Territorio molto più montuoso e rete ferroviaria claudicante, specie al sud. Inoltre la situazione delle isole maggiori non depone favorevolmente in quel senso. Le 13 ore necessarie per andare da Trapani e Ragusa spiegano bene come siano improponibili al momento  le soppressioni dei voli brevi.

Scopo principale ridurre l’inquinamento

I voli aerei inquinano moltissimo e contribuiscono al cambiamento climatico. Ridurre la loro frequenza nelle linee di raccordo può aiutare a decarbonizzare e sarebbe un invito a cambiare stile di vita. L’iniziativa verrà testata per tre anni. Se ci saranno i vantaggi supposti il divieto continuerà. Molte delle linee interne europee potrebbero raccogliere l’invito ed adeguarsi. Sono molte le percorrenze che potrebbero essere coperte dai treni veloci, sconvolgendo il modo abituale di viaggiare di molti cittadini.

In Francia vietati i voli brevi

Velocità superiore

I treni ad alta velocità possono rivelarsi meno costosi in termini d’inquinamento e consumi di energie fossili. Inoltre spesso i tempi sono ridotti rispetto ai voli per i quali occorre presentarsi in anticipo agli aeroporti, fare check-in, prendere posto, volare, ritirare l’eventuale bagaglio e raggiungere il centro città. Il treno offre la possibilità di arrivare direttamente nel cuore delle città

Critiche per le poche tratte coinvolte

Al momento le tratte coinvolte sono quelle che collegano Parigi a tre grandi centri Nantes, Bordeaux e Lione. Sono circa 5.000 voli su un ammontare di quasi 200.000 che solcano i cieli di Francia. Ma questo è solo l’inizio, il governo francese intendere estendere il divieto quando le condizioni di maggiore frequenza dei treno verranno soddisfatte.

Impensabile che sia definitivo

L’invito a cambiare stile di viaggio e di vita non può essere definitivo. Ma è una buona indicazione di come potrebbe migliorare il servizio e soprattutto come potrebbe migliorare la qualità della vita dei cittadini. Anche se l’impatto a livello di decarbonizzazione sarà minimo, compie un’azione simbolica che riduce l’impatto delle emissioni. Una nuova cultura del viaggio è il tema da sviluppare e speriamo che l’Europa sappia fare tesoro di questo esempio e lo applichi ovunque. In Francia vietati i voli brevi

In Francia vietati i voli brevi

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I veri re di New York sono i topi

Ogni tentativo di ridurre il loro numero è stato inutile

Sono i topi a dominare la scena nella grande mela. Dopo la leggenda urbana dei coccodrilli albini nati nelle fogne della città, ora è il turno dei topi di essere sempre in prima pagina. Non passa giorno senza che qualcuno denunci la loro invadenza. Escono dagli scarichi dei bagni, cadono dal soffitto di vecchi palazzi o scorrazzano tra i piedi degli utilizzatori della metropolitana. Troppi è la parola che accompagna i loro quotidiani avvistamenti. I veri re di New York sono i topi.

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Il sindaco Eric Adams

Il sindaco Eric Adams ha deciso di dichiarare loro guerra ed ha eletto una italo-americana a “domatrice di topi”. La signora Kathleen Corradi ha dichiarato che intende essere la nuova sceriffo e che non darà loro tregua. Non sappiamo se si travestirà da pifferaio di Hamelin per incantarli con la sua musica fino a raggiungere il mare. Ma una cosa che la fiaba non racconta è che i topi sanno nuotare benissimo. Non crediamo che annegarli sia la soluzione praticabile.

Un approccio diverso

Ovviamente servirà un approccio diverso, sinora il sistema di catturarli, avvelenarli, ucciderli non ha dato risultati. Ogni volta il metodo ha dato risultati appena impercettibili, mentre la popolazione dei ratti ha continuato ad aumentare senza pietà. Servirà sicuramente un metodo scientifico appropriato per ripulire la città dalla loro presenza.

I veri re di New York sono i topi

Studiare nuove proposte

Il compito della signora Corradi, sarà di studiare ogni possibile nuova soluzione, che tenga conto delle conoscenze antiche ed attuali delle loro abitudini. I topi di fogna, rattus norvegicus il loro nome scientifico, nonostante il none vengono dalla Cina. Si sono diffusi in ogni parte del pianeta, tranne l’Antartico ed in una piccola isola hawaiana, divenuta celebre proprio per quella proprietà. Hanno cominciato a diffondersi ovunque grazie ai trasporti via mare. Sono saliti a bordo delle navi e si sono lasciati trasportare in ogni porto. Probabilmente a New York sono arrivati nel periodo della guerra con gli inglesi.

Avvelenati e sterilizzati

Avvelenati, gassati, soffocati, sterilizzati tutti interventi senza successo. Sono secoli che gli amministratori newyorchesi tentano di risolvere il problema. I topi sono intelligenti ed imparano velocemente, si adattano alle difficoltà e ai disagi. Comprendono come funzionano le trappole, e dopo poco tempo riescono ad evitarle, e diffondono questa conoscenza alle nuove generazioni. Probabilmente assieme alle blatte sono i candidati a prendere il sopravvento quando noi umani ci saremo estinti.

Pulizia e riordino

I ratti sono gli indicatori che i servizi igienico-sanitari, salute, edilizia, crisi degli alloggi non funzionano o hanno creato disparità sociale. La città ha bisogno di maggiore pulizia e riordino delle strutture pubbliche e private, per combattere questa invasione di roditori. La guerra alla loro sovrappopolazione rischia di diventare una guerra ai più poveri e fragili che vivono in condizioni disagiate. Se la campagna di pulizia per togliere habitat ai topi sarà utile anche agli umani, sarà un’ottima cosa.

I veri re di New York sono i topi

Più puliti del previsto

I ratti razzolano nello sporco per recuperare cibo, ma preferiscono le aree pulite. Purtroppo diffondono molte malattie, alcune assai pericolose come la peste bubbonica e la leptospirosi, anche per gli umani. Raggiungono la fertilità in appena 4 mesi, e questo li rende tra gli animali più prolifici che si conoscano. Ogni femmina può generare circa 50 cuccioli ogni anno. Moltiplicate il tutto per il numero dei presenti e comprenderete quanto il problema sia enorme.

Buona fortuna

Non resta che augurare buona fortuna alla signora Corradi, il lavoro non le mancherà. Le testate newyorchesi hanno salutato il suo incarico con una buona dose di ironia titolando: “C’è un nuovo sceriffo in città”. Nell’epoca della conquista del west, gli sceriffi riuscirono, spesso con le maniere forti, ad imporre che la legge venisse rispettata ed a catturare molti fuorilegge. Ora i fuorilegge hanno baffetti, naso a punta, pelo lungo e coda, riuscirà nell’impresa di metterli tutti in gabbia? I veri re di New York sono i topi.

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Gli omini verdi di Roswell

Sono passati 75 anni dalla “cattura” di un’astronave aliena.

Tutti gli appassionati di fantascienza conoscono bene l’argomento e hanno seguito tutte le evoluzioni di questa storia. Nel 1947 un vaccaro del New Mexico trova sul suo fondo dei detriti che non riesce a riconoscere. Sono di uno strano metallo che sembra tessuto, gomma, alluminio, e strumenti che sembrano sensori. Li carica su un camion e li porta alla stazione di polizia. La notizia esce sulla stampa locale col titolo “catturato un disco volante”. È l’inizio di una frenesia infinita. Gli omini verdi di Roswell

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Cominciano gli avvistamenti

Da quel giorno cominciarono ad arrivare notizie di avvistamenti nei cieli di tutti gli stati Uniti. Le salsiere volanti “the flying saucers” popolarono i sogni e gli incubi degli americani, e presto la cosa si diffuse ovunque. Libri e molti fumetti si appropriarono di questa storia e crearono una vera e propria letteratura spaziale fatta di invasori di altre galassie. Nacquero le leggende sugli occupanti del disco volante, i famosi omini verdi, presi in ostaggio dal governo degli USA e nascosti in un centro apposito, segretissimo. A seconda dei timori personali gli omini vengono reclusi, studiati, sezionati, messi a mollo in speciali gel, ibernati, sono vivi, sono morti, si sono dissolti e la fantasia galoppa.

Hollywood si getta sul tema

Ad Hollywood sono sempre alla ricerca di nuovi temi che possano tenere incollate le persone alle loro poltrone mentre divorano popcorn. Il genere fantasy ha sempre un gran fascino e tutte le serie dedicate allo spazio e agli incontri con alieni fanno incassi fantastici. Incontri ravvicinati del terzo tipo, Star wars, Alien, ET, Mars attacks! tanto per fare qualche esempio celebre, fanno aumentare il desiderio di nuove storie. Il cinema sforna pellicole a pieno regime, raffazzonate, con effetti speciali risibili, ma sufficienti per stimolare la fantasia e la curiosità. Intanto il mito cresce, gli omini verdi dai corpi sottili, grandi teste ed occhi enormi, sono dappertutto. Si sono trasformati e vivono tra noi senza farsi riconoscere. Ci studiano per trovare i nostri punti deboli.

Gli omini verdi di Roswell

La realtà è decisamente diversa

Quell’astronave aliena in realtà era un pallone di ricognizione, destinato a sorvolare i cieli della Russia. La guerra fredda era in pieno sviluppo e gli americani cercavano prove che i russi stessero sperimentando la bomba atomica. I palloni aerostatici forniti di sensori sorvolavano i territori sovietici in un’azione di spionaggio che non poteva essere rivelata. Perciò fece comodo al governo USA incrementare le leggende di un UFO catturato, piuttosto che svelare la verità. Per aggiungere pepe comparvero i cartelli di “zona con accesso proibito” e “pericolo mortale”, proprio nell’area di Roswell o nell’Area 51 nel Nevada. Ovviamente nulla stimola di più la curiosità di un luogo non accessibile, ed il gioco era fatto. Gli omini verdi erano sicuramente custoditi lì.

Gli UFO esistono

Gli UFO esistono anche se nessuno ancora ci ha spiegato cosa siano in realtà, se fenomeni naturali o astronavi aliene. Qualcuno obietta che con un numero infinito di galassie e pianeti, sembra impossibile che non si siano evolute altre specie. Se sono così evoluti da poter viaggiare a velocità impensabili attraverso lo spazio probabilmente ci snobbano e ci considerano alla stregua di primitivi. C’è chi dice che una volta che ci abbiano visitati, non ci abbiano trovati di loro gradimento e abbiano fatto di tutto per allontanarsi in fretta. Discorso che non fa una grinza.

Business is business

Come sempre dove c’è curiosità, c’è possibilità di far denaro. A Roswell non se lo sono fatto ripetere e tutto ciò che poteva essere trasformato in vagamente alieno, ha preso quella piega. Dal localino dove far colazione, al ristorante, al supermercato, alla pompa di benzina, tutto è stato dotato di simbologia extraterrestre.  E l’isteria aliena continua, con qualche alto e basso. Gli appassionati continuano a proliferare, hanno le loro convention, a cui invitano sempre gli alieni a palesarsi. Chissà forse qualcuno finalmente lo farà e si concretizzeranno gli incontri ravvicinati del terzo tipo. Gli omini verdi di Roswell

Gli omini verdi di Roswell

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Un santuario del buio

L’inquinamento luminoso è una materia poco discussa ma ben presente

Abbiamo tutti presenti le immagini notturne prese da satellite o da navicelle spaziale della Terra. Le cose più riconoscibili sono le aree che hanno maggiori luci accese, a volte macchie ininterrotte che occupano quasi un intero paese. Non ci rendiamo conto di quanto le luci artificiali mutino il paesaggio ed influenzino la vita di umani ed animali. Ora in Galles una piccola isola diventa un santuario del cielo scuro. Nessuna luce a modificare la visibilità del cielo stellato ed una pacchia per gli uccelli che ritrovano i loro riferimenti. Un santuario del buio

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Un nome quasi impronunciabile

Si chiama Ynis Enlli, la minuscola isola gallese, dal nome quasi impronunciabile, ad essere il primo Santuario del Cielo Nero d’Europa. (Dark Sky Sanctuary) la definizione internazionale del sito. Sono appena 17 i luoghi in cui viene dato pieno rispetto al buio, un luogo in cui tutti gli studiosi possono fare osservazioni senza interferenze. Cieli stellati affascinanti che riescono ad emozionare, come probabilmente hanno fatto per millenni i nostri progenitori.

Un fazzoletto di terra

L’isolotto di appena 2,5 km di lunghezza e 800 metri di larghezza ospita solo due persone. Anche se in estate subisce una invasione di ben 12 persone. L’isolotto si trova a 3 km dalla penisola di Llŷn, nel nord-ovest del Galles. L’isola è protetta dall’inquinamento luminoso della terraferma da una collinetta di 200 metri, che crea le giuste condizioni di buio. Per poter far parte di questo esclusivo club di luoghi oscuri, occorrono alcuni precisi parametri. Sono aree con un inquinamento luminoso eccezionalmente basso che sono almeno parzialmente accessibili al pubblico. Sono tra i luoghi più bui del pianeta.

Le luci di Dublino

Il luogo più vicino che potrebbe creare inquinamento luminoso è Dublino, sul lato opposto del Mare d’Irlanda ad oltre 100 km. L’isola è un paradiso naturalistico che ospita una grande colonia di berte notturne. Sono uccelli che per tornare al nido, viste le abitudini notturne, hanno bisogno di stelle ben visibili. Procellarie, gufi ed alcuni roditori, sono endemici. L’isolotto è stata sede di monasteri tanto da essere nota come l’isola dei 20.000 santi, ed era luogo di pellegrinaggio. Con l’abbandono dei monaci è diventata sede di predoni e pirati, nel tempo sostituiti da pescatori e contadini, fino all’attuale spopolamento.

Un faro killer

Sull’isola esiste un faro a base quadrata che ha causato migliaia di vittime tra gli uccelli, sia stanziali che migratori. La luce bianca disturbava e stordiva, da alcuni anni è stata sostituita da una luce rossa, e gli incidenti sono immediatamente crollati. Un esempio che dovrebbero seguire altri fari. L’inquinamento luminoso è in aumento e non disturba solo la fauna selvatica. Sono molti gli umani che sviluppano disturbi del sonno, legati alla eccessiva luminosità notturna. Un santuario del buio.

Un santuario del buio

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La torta te la stampo in 3D

Un dolce disponibile con una semplice stampante pronto in pochi minuti.

Gettiamo altra benzina sulle preoccupazioni di tuti coloro che avversano le innovazioni. Le stampanti 3D stanno diventando relativamente popolari, ed il loro impiego è molto variegato. Ora un team di ricercatori ha spostato i limiti noti un poco oltre, utilizzando la tecnica in cucina. Una cheesecake ha preso forma grazie ad un mix di ingredienti che sono i classici elementi della ricetta tradizionale. La torta te la stampo in 3D

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Non tradizionale

Ciò che non è tradizionale è il metodo. Dopo aver acquistato gli ingredienti li hanno sminuzzati, riducendoli a forma liquida o semi solida per poter essere “iniettati” sul piano di lavoro e creare la torta. Sono serviti molti tentativi per trovare i giusti livelli di consistenza degli ingredienti, ma alla fine il risultato è stato eccellente. Non abbiamo potuto assaggiarla perciò ci limitiamo a giudicare l’aspetto esteriore. I ricercatori giurano che era buona, anche se differente, da quella cucinata da nonna, indubbiamente commestibile.

Sette ingredienti

La ricetta si basa su sette ingredienti: pasta di cracker Graham, burro di arachidi, marmellata di fragole, nutella, purea di banana, ciliegie candite e glassa. Sono stati tutti ridotti per poter essere contenuti nelle siringhe utilizzate dalla stampante. Le linee sottili degli ingredienti si sono sovrapposte, fino a creare la cheesecake. Unico escluso la base di crackers con burro e acqua, realizzata con un robot da cucina. L’intero processo è terminato in mezz’ora.

Lo avremo tutti

Sarà l’ennesimo elettrodomestico che tutti vorremo avere o resterà un curioso oggetto da dimenticare rapidamente? Sembra poco probabile che una stampante 3D diventi un “must” della nostra cucina, ma potrebbe interessare i locali pubblici per rinnovare costantemente le fette di torta nelle loro vetrinette. Anche la NASA sta studiando la possibilità di utilizzare questa tecnologia per i viaggi nello spazio. Già esistono carni, verdure e formaggio realizzati con le stampanti, mancavano i dolci, prossimo step la frutta.

Mancano i ricettari

Al momento la tecnologia esiste, gli ingredienti pure, ma mancano le ricette ed i trucchi per realizzarle, se volete creare una start-up apposita, avete campo libero. Non mancheranno i detrattori della nuova tecnologia, ma qualcuno potrebbe trovare soluzioni accattivanti che la renderanno ancor più semplice. Per gli igienisti potrebbe rivelarsi un vero toccasana, il cibo non verrebbe manipolato, e tutto si svolgerebbe nell’ambiente asettico in cui funziona la stampante 3D. La torta te la stampo in 3D

Credits: Jonathan BlutingerColumbia Ingegneria

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Thor il tricheco in tournée

Evento abbastanza raro ma i trichechi scendono sempre più a sud forse per colpa del cambiamento climatico

È già accaduto altre volte, anche se di rado, di trovare un tricheco comodamente spiaggiato a riposare sulle coste europee. L’ultimo caso è quello di Thor, un maschio di circa 5 anni che probabilmente è partito dall’atlantico canadese per raggiungere Groenlandia, Islanda e Inghilterra. Ha eletto a residenza momentanea alcuni porticcioli dove è diventato una star dei selfie e idolo dei bambini. Sono due anni che nuota in acque relativamente calde rispetto a quelle che preferisce. Un lungo viaggio che lo ha spossato. Thor il tricheco in tournée

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In Islanda nuovamente

Ha lasciato l’Inghilterra ora e si è diretto verso acque più fredde, è stato infatti localizzato in Islanda. È un mammifero di grandi dimensioni che può arrivare ai 3,5 metri di lunghezza e al peso di 2 tonnellate. Per raggiungere queste dimensioni deve nutrirsi bene e forse ha seguito banchi di pesci per recuperare il suo “peso forma”. Non è certo cosa lo spinga a lasciare le acque fredde dell’Artico, dal momento che è adatto ad affrontare climi rigidi. Il suo enorme strato di grasso lo protegge tra i ghiacci, mentre lo ostacola in climi più caldi.

 Nella lista rossa

I trichechi sono inclusi nella lista rossa delle specie minacciate. Dovrebbero essere presenti solo 110mila esemplari sul pianeta, una quantità non tropo cospicua. La minaccia principale per loro è che il riscaldamento globale, porti a mutare le condizioni vitali nelle aree più a nord. Già foche ed orsi bianchi sono in grave sofferenza, anche i narvali che di solito vivono sotto ai ghiacci della calotta artica si sono spostati a sud. Gli orsi bianchi non riescono a nutrirsi a sufficienza e si avvicinano sempre più ai centri abitati, creando conflitti con gli umani.

Thor il tricheco in tournée

Thor il giovanotto

Forse Thor s’è preso il suo anno sabbatico per fare esperienze. È ancora giovane e relativamente “piccolo”, solo 8 quintali, probabile che si senta avventuroso e desideroso di conoscere di più di cosa offre il mondo. La speranza è che non si renda responsabile di guai. Un altro tricheco vagabondo è stato soppresso in Norvegia, perché si era reso pericoloso. I trichechi amano restare immobili al sole per ritemprarsi, ma a volte scelgono barche come luoghi isolati dove stendersi. In molti casi nel tentativo di salire a bordo le sbilanciano e le affondano. Un tricheco vagabondo, che era arrivato in Irlanda, ha avuto a disposizione un pontone tutto suo, per evitare che affondasse altre imbarcazioni

Solo selfie

La speranza è che Thor decida di essere solo il protagonista di molti selfie e che trovi una giusta collocazione. Il viaggio che ha ripreso verso l’Artico sembra un buon segno, ma i biologi marini sono preoccupati perché non comprendono cosa causi queste migrazioni. Fortunatamente al momento sono casi sporadici che possono essere legati a molte eventualità. Il timore che i trichechi possano “perdersi” in altri mari comprometterebbe anche la loro possibilità di riprodursi. Thor il tricheco in tournée

Credits:Pixabay

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Svelato un altro mito

Le tartarughe marine migrano a tentoni, forse non sanno veramente dove andare.

Si riteneva che le tartarughe marine, dopo aver abbandonato le spiagge dov’erano nate, avessero un obiettivo ben chiaro. Niente di tutto ciò. Dopo aver passato un breve periodo in qualche nursery, aree protette da alghe, per raggiungere una certa dimensione, cominciano a cercare aree dove nutrirsi. Nuotano per molte miglia nell’oceano, alla ricerca dei loro manicaretti preferiti. Amano le spugne, piccoli pesci ed alghe. Chi immagina che questo porti ad una migrazione in linea retta, su un obiettivo ben chiaro, è in errore. Svelato un altro mito

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