La passione inglese per la scoperta e lo studio di tutti gli aspetti dell’Impero Romano stavolta parte dalle cucine e dal cibo
Una mostra molto interessante che raccoglie reperti spesso di derivazione pompeiana. Un tentativo di proporre una immagina abbastanza chiara sugli usi alimentari dell’antica Roma. Ovviamente sono le ville patrizie a dare i reperti più interessanti, questo vizia in qualche modo una visione d’insieme dove ad alimentarsi sembra solo la classe più ricca. A smentire questa informazione ci sono i 150 termopolium della sola Pompei, paragonabili ai moderni fast food o take-away. Luoghi in cui venivano serviti pasti pronti da consumare, anticipatori dello street food. La cucina dell’antica Roma in mostra a Oxford
Un ammonimento al carpe diem
Dai mosaici, dipinti e stoviglie appare una classe sociale e politica dedicata al divertimento, ai piaceri della tavola e della carne. Un bel mosaico proveniente dalla Casa delle Vestali di Pompei raffigura uno scheletro che impugna due brocche. Chiaro invito a mettere in pratica tutto ciò che sollazza perché del futuro non si sa nulla. I romani prendevano sul serio quell’ammonimento e come si direbbe oggi “ci davano dentro”.

La ramificazione dell’Impero Romano
Sviluppato su Europa, nord Africa, Medio Oriente ed Asia l’impero raccoglieva il meglio, o il peggio, dei paesi che soggiogava. La cucina e le sue specialità non erano indifferenti ad ingredienti e culture che provenivano da oltre 2000 miglia. La dominazione del Mediterraneo permetteva di trasportare abbastanza agevolmente, prodotti che potremmo definire esotici. Alcune raffigurazioni mostrano la preparazione di animali che non si sospetterebbe fossero presenti nell’Urbe.
Mille dei a rappresentare tutte le culture
Le cerimonie religiose erano innumerevoli, quasi ogni giorno c’era da onorare una divinità, ad essa era spesso abbinato un rito culinario. Abitudini che gli schiavi o i liberti portavano con sè nei loro viaggi e diventavano usuali anche nella capitale dell’Impero. Le sovrapposizioni del resto sono continuate nei secoli e la stessa Chiesa Cattolica ha fatto suoi molti rituali religiosi politeisti che non avevano niente da spartire con le parole di Cristo.

Cultura dell’eccesso e smania di mostrare il proprio status
I banchetti erano spesso un modo per dimostrare il proprio status, venivano imbanditi con lo scopo di essere il biglietto da visita con cui simboleggiare la propria potenza e ricchezza. Chi doveva “entrare in società” offriva sontuose cene cercando di accaparrarsi favori. Mentre chi già possedeva uno status elevato filtrava gli inviti. Avere accesso o meno alla casa di Tizio o Caio poteva fare la fortuna o la disgrazia di una famiglia.
Piatti unici che oggi non consumeremmo
Le sorprese riguardano alcuni dei piatti e delle vivande che oggi difficilmente consumeremmo. Sia per la difficoltà di recupera alcune materie prime, sia per il ribrezzo che alcuni ingredienti susciterebbero. I romani andavano pazzi per alcuni animali che oggi sono protetti come il ghiro e il porcospino. Amavano moltissimo il pesce che era spesso servito con la garum una salsa a base di interiora di pesce fermentate che nella cucina moderna troveremmo almeno ingestibile. Amavano molto i gusti forti e per questo adoravano i tartufi
Vini durissimi che nessun enologo approverebbe
I vini serviti erano molto forti e venivano diluiti in acqua, le ubriacature però a seguito delle feste patrizie erano ugualmente frequentissime. Lo stesso avveniva anche tra i popolani che però si servivano presso vinerie di strada, dove gli osti sapevano stemperare molto la gradazione alcoolica. Sui muri di Pompei esistono tuttora le iscrizioni di elogio e spernacchio nei confronti dei vinai più o meno onesti. Veniva spesso servito anche il vino resinato che ancora potete bere in Grecia.
Se i NAS potessero intervenire
Nessuna cucina romana resterebbe aperta se i NAS potessero intervenire, le cucine erano normalmente accostate alle latrine e l’igiene era assai poco rispettata. Le norme di conservazione alimentare ovviamente non esistevano, tutto doveva essere velocemente cucinato, pena il degrado. Quello che si poteva conservare era tenuto sotto sale o grasso, il che conferiva gusti che definiremmo sgradevoli oggi. Alcuni animali erano cucinati vivi, all’interno di altri, ai romani piaceva molto stupire con farciture eccentriche. Un maiale allo spiedo poteva contenere un’oca con all’interno una carpa o altri uccelli. Pappagalli, fenicotteri, aironi, sono uccelli che non vorremmo sul nostro menu, eppure a Roma li avreste trovati.

Qualche ricetta
I ghiri venivano cotti in forno, ripieni di castagne e cosparsi di miele e semi di papavero. Oppure conigli ripieni di fichi. La passione per le cose che potessero stupire ha sviluppato una sorta di cultura della mousse. Con questo materiale plasmabile venivano create focacce, polli, cigni o frutti che riproducevano perfettamente le forme richieste. Alcuni di questi “manufatti” sono arrivati sino a noi grazie all’eruzione del Vesuvio che ha immortalato le tavole mentre i residenti fuggivano da Pompei. Sono reperti carbonizzati ma si intuiscono gli ingredienti come fichi, olive, uova, mandorle, olive. Anche un pane carbonizzato fa parte dei reperti.
Mostra suggestiva
La mostra di Oxford è stata curata in modo da dare uno spaccato di una casa patrizia pompeiana con riproduzioni di affreschi e mosaici, che accompagnano i visitatori. Nel triclinio, la sala da pranzo, anche se sarebbe più opportuno chiamarla da cena, sono esposti pezzi unici provenienti dagli scavi pompeiani, tazze, bicchieri, coppe, vasi di particolare bellezza. Ricostruita con attenzioni ai particolari anche la piccola e buia cucina dove gli schiavi preparavano i manicaretti da servire ai loro ricchi padroni. La cucina dell’antica Roma in mostra a Oxford


