Benessere, Enogastronomia, Marketing

Slow Food Coldiretti McDonald’s

Il cibo Made in Italy è una cosa seria e va difeso da operazioni commerciali che lo sviliscono

Una patina d’italianità, non basta per affermare che McDonald proponga cultura alimentare italiana. Slow Food nega che le dichiarazioni del presidente nazionale della Coldiretti, Ettore Prandini, abbiano un reale fondamento. La catena di fast-food più stereotipata del mondo, ha lanciato una nuova campagna “I’m lovin’ it Italy” (Mi piace Italia) con ingredienti italiani. Ma poche materie prime appartenenti alla tradizione culinaria italiana, non bastano. Questo è dare mano libera ad una catena di ristoranti che ha fatto della massificazione il suo credo. Se pensi a McDonald pensi al BigMac, la cosa più standardizzata possibile, lontana anni luce da una ristorazione d’eccellenza. Slow Food Coldiretti McDonald’s

Promuovere il vero cibo italiano

Sono altri i mezzi per promuovere il vero cibo italiano. Se si vuole dare visibilità e credibilità al nostro cibo, si deve tenere conto di tutta la storicità su cui si basa la nostra agricoltura. Un cibo “buono pulito e giusto” non può essere contrabbandato in una operazione commerciale. Puntiamo all’eccellenza produttiva, alla salvaguardia della biodiversità, alla protezione dell’agroalimentare di nicchia, mentre il messaggio che McDonald vuole promuovere non è esattamente quello corretto. Il made in Italy, passa per la sostenibilità, per la qualità, per il benessere economico dei produttori, per il benessere animale. Tutte situazioni che la catena internazionale non può fare proprie, per le scelte che sono alla base del suo business.

Slow Food non si sente rappresentata.

Mentre il presidente di Coldiretti promuove la catena come un mezzo per propagandare i nostri prodotti, Slow Food non si sente rappresentata da queste scelta e le critica. Dire che: “è partito come un fast food ma è diventato una catena di ristoranti che può, a tutti gli effetti, rappresentare l’italianità” è perlomeno incauto. La capacità di produrre in modo artigianale, con tutti i saperi che vengono da millenni di storia ed evoluzione della cultura enogastronomica italiana, non sono rispettati.

Lo storytelling scompare

Le colture con le corrette rotazioni, il rispetto dei terreni, la concimazione naturale, ed il ruolo del paesaggio, non violentato con coltivazioni impattanti, sono il simbolo dell’italianità. Le storie che i nostri agricoltori e trasformatori sanno raccontare, se vengono ficcate tra due fette di pane perdono tutto il loro fascino. Standardizzare, è quanto di più lontano esista dal modo di cucinare e presentare le nostre specialità. La smania di promuovere l’italianità ad ogni costo, può in questo modo svilire il concetto di made in Italy. Il traino commerciale di poter utilizzare ciò che italiano è enorme, ma bisogna guadagnarselo. Per tenere alto il valore di ciò che produciamo, non serve ridurlo a semplice operazione di marketing. Slow Food Coldiretti McDonald’s

Abitare, Enogastronomia, Marketing

Coca-Cola Capolavoro un nuovo limite pubblicitario

Opere d’arte e dipinti celebri partecipano e si animano per diffondere il celebre marchio di Atlanta

Abbiamo valicato un altro limite nell’advertising? Le opere d’arte da apici culturali, diventano mezzi di promozione per bevande gassate. La scenografia dello spot parte da un museo dove uno studente svagato ed assonnato non riesce a dare il suo contributo scolastico. Quasi si appisola e lascia vagare i pensieri, mentre le opere d’arte per venirgli in soccorso prendono vita. Una mano di Aket “ruba” una bottiglietta di Coca-Cola da un’opera di Andy Warhol e la fa “volare” di tela in tela. Coca-Cola Capolavoro un nuovo limite pubblicitario

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Una visita molto personale

Un viaggio surreale che coinvolge molti capolavori passando dal “Grido” di Munch alla “stanza di Arles” di Van Gogh. Dopo molti altri passaggi, lanci e prese, giunge fino alle mani della celebre “Ragazza con l’orecchino di perla” di Vermeer. Sarà proprio lei a stappare la bottiglietta e ad offrirla allo studente, con uno sfrontato occhiolino. Lo studente, stimolato dalle bollicine, diventa improvvisamente produttivo, e porta a termine il suo lavoro sotto l’occhio della sua insegnante.

Un’altra polemica accesa

Proprio la Ragazza con l’orecchino di perla è al centro di un’altra polemica artistica. Il dipinto è parte di una mostra dedicata a Vermeer al Rijksmuseum di Amsterdam. Per celebrare l’evento molti artisti sono stati invitati a reinterpretare il dipinto con qualsiasi tecnica. La sorpresa finale è che il contest, lo ha vinto un autore che ha utilizzato la AI per dare vita alla sua interpretazione. Il vespaio susseguente è tutto incentrato sull’uso dell’intelligenza artificiale in un contesto artistico, e non sembra destinato a placarsi rapidamente.

Coca-Cola Capolavoro un nuovo limite pubblicitario

Cosciente del limite

Coca-Cola ha compreso a quali rischi andava incontro con l’utilizzo di queste opere, molte delle quali assai celebri ed iconiche. Ha sviluppato una pagina apposita nel suo sito dove poter consultare le opere nella loro integrità, e conoscere un poco di storia dell’arte. Ha anche postato interviste di alcuni degli artisti viventi, per rendere più attrattivo il sito. L’invito è ad approfondire e non a cogliere solo l’aspetto immediato dell’arte, che si anima solo per pochi secondi nello spot. Uno sforzo culturale inatteso, da parte di un’azienda molto più attenta all’essere che al divenire. Min Chen di Artnet ha commentato: La loro campagna sembra dire; Se non puoi batterli cooptali“.

Un gioco a scoprire

La campagna Capolavoro potrebbe divenire una specie di gioco per scoprire a chi appartengono tutte le opere. In questo modo il valore culturale supererebbe quello commerciale dello spot. È sicuramente un modo diverso per promuovere un prodotto, anche se è corretto far notare che recentemente le opere d’arte sono molto presenti nelle pubblicità. Non tutti gli artisti sono felici di queste “intrusioni”, ma molti sono defunti e le aziende dopo aver pagato i diritti, sono liberi di utilizzare le opere. Le animazioni dello spot sono di alta qualità, creano un effetto attrattivo, ma è giusto che ognuno guardi il video e giudichi da solo. Coca-Cola Capolavoro un nuovo limite pubblicitario

Credits: Coca-Cola

Abitare, Marketing

Siamo sicuri che il Goblish sia veramente positivo

La lingua creata per influencer e content creator è una scarnificazione culturale

Scrivere per i social media e farsi seguire da molti follower, implica un abbassamento del livello culturale? La risposta purtroppo pare sia una nuova formula di linguaggio che è stata codificata. Si tratta del Goblish. Chi lo propugna giura che è la chiave del successo per ottenere visibilità e per farsi seguire da orde di followers. I contenuti vengono svuotati di ogni “asperità” linguistica per raggiungere un pubblico molto vasto. Solo 1.500 parole per questo Global English che dovrebbe accontentare persone di ogni età e nazionalità. Siamo sicuri che il Goblish sia veramente positivo

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Semplificazione o svuotamento

Resta da vedere se la semplificazione a così poche parole sia veramente utile per la comprensione mentre svuota il dizionario. È veramente necessario esprimersi in modo così basic per essere buoni creatori di contenuti e trasformarsi in influencer? Un buon livello di comprensione è sicuramente gradevole, ma asciugare troppo va nella direzione dell’AI. L’intelligenza artificiale è già stata testata per scrivere senza interventi umani, ed è proprio grazie ad un dizionario così ridotto che può avere successo.

Ridurre all’osso per rimbambire meglio

Il tentativo di massificare troppo, passa anche per un eccessivo rimbambimento del pubblico. Un linguaggio molto pratico ma che non evolve, né chi lo propone, né chi lo legge/ascolta. Un linguaggio da tiktoker, o utile per post brevissimi da due righe da postare sui social media. Se l’obiettivo è questo, va nella direzione di ridurre sempre più i lemmi (parole) utilizzate nella lingua parlata ma anche scritta. Chi ha figli in età scolare conosce bene quanto scarna sia già la varietà di linguaggio utilizzata. L’impoverimento culturale sembra non spaventare chi promuove il Goblish, anzi li esalta.

Abbassare il livello

Il mito di chi produce contenuti dovrebbe essere quello di una bambina di 8 anni presa ad esempio da imitare? Ha milioni di followers e i suoi post sono di livello elementare ovviamente. Tornare al livello di terza elementare per esprimersi, e farne un fatto positivo, sembra veramente un modo pessimo per livellare tutti. Abbassare ad ogni costo il livello è insopportabilmente sterile per il futuro che ci attende. Serve crescere e accrescere la propria cultura, non banalizzare ai minimi termini. Con un fronte massiccio di analfabetismo di ritorno e l’incapacità di comprensione, anche di brevi messaggi o frasi, un dizionario più corposo è necessario.

Un aspetto positivo

Un aspetto positivo del Goblish è che riduzione ai minimi storici del dizionario, obbliga a cercare un contatto coi propri follower basato sulla sincerità. Il “parla come mangi” non consente molti trucchi, come ben sa chiunque si occupi di politica e politichese. Lo sforzo di essere sempre interessanti e coinvolgenti, rischia però di arrivare a produrre messaggi “strillati”. Abbiamo veramente bisogno di altre Vanne Marchi che ci riempiano di inutili ciarpami? L’inglese è già piuttosto basic rispetto alle lingue neo-latine, una ulteriore riduzione sembra un tentativo per facilitare il restringimento delle capacità di scelta dei cittadini. Siamo sicuri che il Goblish sia veramente positivo

Siamo sicuri che il Goblish sia veramente positivo

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C’è un futuro per il vino analcoolico?

Molti tentativi sviluppati nei secoli per produrre vino senz’alcool sono abortiti, ma la richiesta esiste

Può sembrare folle un vino senz’alcool visto che gli uomini coltivano la vite da quasi 10.000 anni, per le emozioni alcooliche. Ma in realtà c’è un mercato in crescita, anche per chi ama bere senza cercare nemmeno una minima ebbrezza. Ci han provato per secoli, per motivi religiosi e salutistici, ad eliminare l’alcool dalle bevande. Con efficacia assai relativa. Il clero cercava vino che non portassero all’etilismo le sue pecorelle, ma i parroci continuavano a dare il cattivo esempio consumando quello alcoolico durante la messa. La storia dell’enologia è piena di “vino del prete” “vino d’altare” e “vini santi”. Nati per essere consumati sull’altare ma spesso diventati un ottimo oggetto promozionale per i loro produttori. C’è un futuro per il vino analcoolico?

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Nuovi tentativi

È relativamente recente una nuova serie di tentativi, di produrre vini a tasso alcoolico azzerato. Oltre alla evidente molla morale del ridurre le cattive abitudini dei beoni, esistono consumatori che non possono bere per motivi salutistici. Tutti coloro che vengono invitati dai medici a cessare di bere, sono interessati a prodotti che almeno imitano il piacere del vino. Il “divide” al momento resta il sapore, assai difficile da imitare. Però le abitudini cambiano l’offerta, anche se ancora molto limitata di vini NA (Non Alcolici) aumenta. Segno che qualcuno è interessato. A spingere quel mercato c’è anche lo stigma nei confronti dell’alcolismo, ritenuto moralmente negativo anche se praticato con moderazione.

Generazione Z all’attacco

I dati dei consumi mostrano che la Generazione Z e i Millenials sono molto meno interessati all’alcool. Ne acquistano e ne degustano di meno. Sono diventati uno dei target dei produttori di NA. Togliere l’alcool può rivelarsi complesso, soprattutto perché nel processo vengono sottratte quasi tutte le sostanze volatili, che creano il bouquet. Diversi brevetti hanno dato vita a modi differenti di estrarre l’alcool. Alcuni complessi, altri abbastanza semplici, ma destinati quasi sempre a piccole comunità. Negli USA un dentista proibizionista (T.B.Welch) brevettò un sistema per produrre vino per gli altari, per le chiese metodiste. Dal suo metodo di non fermentazione, derivò in seguito l’industria dei succhi di frutta.

Un altro processo

Un altro processo, brevettato in Australia, rimuove le parti volatili dagli ingredienti. Utilizzato per molti tipi di prodotti, sia per esaltare o per eliminare le parti gassose è stato utilizzato anche nei processi di eliminazione dell’alcool dal vino. Ha dato vita a vini a bassa gradazione e successivamente a zero alcool. Un metodo che evita di far arrivare il vino all’ebollizione per eliminare il fattore alcoolico, e non rovina il gusto del vino. La tecnologia denominata BevZero, si è espansa anche sul seguito della diffusione della birra analcoolica, che ha fatto da traino.

C’è un futuro per il vino analcoolico

Solo vini dolci

I vini esistenti erano di sapore decisamente dolce, mosto d’uva che non soddisfaceva il gusto deli appassionati. Occorreva dare una svolta, anche perché nessuno dei consumatori pensava di bere veramente vino e questo creava una condizione sfavorevole. Per trovare il giusto blend sono stai necessari molti tentativi. Quando viene sottratto l’alcool il vino cambia, muta in modo molto percettibile, perché l’alcool è parte integrante del bouquet. Nella birra il processo è più semplice e il sapore cambia in modo molto minore, ma per mantenere il sapore nel vino è necessario aggiungere aromi.

NA in vendita

I negozi che vendono NA cominciano a diventare popolari negli USA, ma faticano molto in altri paesi. I vini hanno una rotazione vorticosa, le etichette cambiano ad un ritmo folle, nel tentativo di trovare le nuove “annate” migliori che soddisfino la clientela. È un’industria molto giovane con una turnazione che contraddice la cultura millenaria del vino. Da sopraffino nettare da invecchiare, si passa ad un prodotto “molto veloce”. Lo stesso vino NA non resta in vendita per più di 5 stagioni, e viene sostituito rapidamente da altri vini della stessa casa. Forse è scorretto pensare ad una unica categoria di prodotti, anche se sono venduti negli stessi negozi. Vino e vinoNA in realtà sono agli antipodi.

Packaging anomalo

I produttori hanno individuato questo discrimine, ed hanno scelto di utilizzare confezioni che si distinguano. Anziché puntare sul vetro, che è anche più costoso e difficile da trasportare, hanno puntato sulle lattine, anche nella versione sottile tipica degli energy drink. Popolari anche i minibrick. Alcuni ristoranti hanno introdotto una mini-lista di NA allegata ai loro menù, un altro segno che l’interesse è in aumento.  Esiste già un ricettario di piatti cucinati con i viniNA. L’opzione senz’alcool sembra più seguita ai fornelli che a tavola.

Meno bevitori

I sondaggi che vengono regolarmente svolti sul mercato del Beverage, segnano un rallentamento d’interesse verso i super-alcoolici. Oltre il 20% dichiara di aver ridotto il numero dei drink. Un ulteriore 35% dichiara che ha già deciso di bere meno. Questo costituisce una fascia di mercato molto interessante per i NA. Molte persone che potrebbero essere interessate a bere senz’alcool, per non farsi mancare il piacere della socialità, e del bicchiere condiviso senza rischi di sbronza. Il mercato non è ancora floridissimo, ma sembra destinato a raddoppiare i suoi numeri in pochi anni. Vedremo quale sarà l’evoluzione. C’è un futuro per il vino analcoolico?

C’è un futuro per il vino analcoolico
Benessere, Enogastronomia, Marketing

Cambia il consumo di vino

Il mercato italiano del vino evolve in modi inattesi

Innanzitutto le cose positive. I dati totali sono buoni, con molte voci in incremento per la vendita dei vini italiani. Ciò che cambia in modo vistoso è la predominanza dei bianchi, soprattutto le bollicine. I veri dominatori del mercato attuale, fanno ripiegare su posizioni di rincalzo i rossi e i fermi. Anche molti dei grandi rossi più celebrati, accusano battute d’arresto molto cospicue. Prosecco, Trentodoc, Franciacorta sugli scudi a trainare un settore a cui gli italiani non hanno voluto rinunciare. Probabilmente ha giocato l’aspetto “frizzante” legato ad una immagine di freschezza e a una sferzata di energia. Il desiderio di cose positive e semplici ha probabilmente contribuito a questo “mood”. Cambia il consumo di vino

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Bianchi e rosati frizzanti

I bianchi ma anche i rosati frizzanti, hanno saputo imporre una immagine di vini beverini, da tutto pasto. Non più relegati a brindisi, feste, cerimonie, ricorrenze o aperitivi. La trasformazione in vini da tutto pasto, ha contribuito notevolmente al successo attuale. Le settimane delle feste natalizie hanno dato precise indicazioni di come si sono evoluti i gusti. Charmat o champenoise purché solletichino palato e naso. Il solo prosecco ha fatto segnare incrementi enormi di vendite. In tre anni il 30% in più, sono numeri da stropicciarsi gli occhi. Le centinaia di vini nazionali e soprattutto internazionali, che hanno assonanze con il nome Prosecco, sono lì a dimostrare quanta sia la richiesta dei consumatori.

Vino spumante da tutto pasto

Un cambiamento abbastanza repentino quello accaduto negli ultimi anni. Le bollicine sono diventate vini in grado di accompagnare tutto il pasto, una mutazione delle abitudini che ha condizionato le vendite. È un cambiamento rilevante di cui hanno fatto le spese le altre tipologie di vini. Sono pochi i rossi e i fermi che abbiano saputo tenere il passo, compresi vini IGP con indicazioni di origine geografica, che sinora erano i dominatori degli scaffali delle enoteche e dei supermercati.

Cambia il consumo di vino

Anche i DOP

Stesso livello ma con qualche eccezione per i DOP. In questo caso la situazione è a macchia di leopardo, ma in generale è evidente su tutto il territorio nazionale. Alcune aree hanno tenuto bene, altre evidenziano dei segni negativi preoccupanti. Lambrusco (ma siamo ancora nel campo delle bollicine), Chianti, Negramaro, Trebbiano, Montepulciano, Sangiovese, Vermentino, Verdicchio, sono i vitigni coi migliori risultati. Mancano all’appello alcuni grandi rossi, i vini da meditazione. Sicilia e Piemonte sembrano aver accusato il colpo peggiore.

e-commerce in crisi

I dati relativi all’e-commerce preoccupano. Rispetto allo scorso anno si assiste ad una diminuzione cospicua, che si attesta sul -15%. Anche i prezzi, dopo aver goduto di una ottima fiammata nel biennio scorso sono in diminuzione. Un divario anche superiore al 10%, che rosicchia troppo le marginalità. Dopo la grande esplosione di ordini legati alla pandemia, ed alla comodità dei servizi a domicilio, pare che il mercato si stia stabilizzando su valori tendenti al ribasso. Urgono considerazioni su tutto il settore e ripensamenti sui canali di vendita. Se qualcuno aveva immaginato per la propria azienda, un canale di vendita esclusivamente elettronico, farà bene a rivedere le proprie scelte in chiave di multicanalità. Cambia il consumo di vino

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Moda senza età

Più visibilità ai maturi o fette più ampie di mercato da esplorare?

Moda senza età sembra un manifesto futurista, ma potrebbe essere solo un buon proponimento per il 2023. In questo caso una presa di posizione che sarebbe in reale controtendenza, non più giovani e belli, ma maturi e consapevoli. La moda sposta il suo asse e propone una novità semplicissima, ma mai veramente sviluppata precedentemente. In passerella arrivano proposte che coinvolgono capi e modelli decisamente diversi e impensabili.  Maggiore attenzione alle persone più agè, un settore che normalmente viene snobbato, troppo lontano dalle consuete immagini delle riviste patinate. Eppure qualcosa accade, Ma è una vera apertura mentale o piuttosto un adeguamento alla prassicompro dunque sono”? Moda senza età

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La morale la fa il mercato

Un manager che indossi un blazer a pois giganti e una creativa coi capelli bordeaux darebbero una bella ventata di aria fresca in qualsiasi ufficio.  Perdiamo Vivienne Westwood proprio nel momento in cui il suo disincanto diventa un fattore. Il suo essere sempre originale facendo sberleffi all’età ci mancherà. Ma non è solo Vivienne ad inseguire una moda che dia vivacità alla maturità. È una nuova morale trainata dal bisogno di dare importanza alla terza e quarta età?

Seconda e terza giovinezza

Visto l’innalzamento dell’età media della popolazione, coloro che hanno una seconda o una terza giovinezza sono in aumento. Quindi la maggiore attenzione alle loro esigenze è una presa d’atto della realtà. Molte persone mature sono big spender, hanno risolto i problemi con figli, compagni/compagne e carriera, e possono dedicarsi maggiormente a loro stessi. Possono investire in un nuovo look che li rappresenti meglio, rispetto agli stereotipi del nonnino in doppiopetto e la nonnina in grisaglia. Le case di moda hanno annusato profumo di business, e stanno investendo in quel senso.

Moda senza età

Moda oltre la convenzione

È un movimento che accompagna un nuovo fermento culturale o solo una sottolineatura dell’esistente? Un vero trend o una rapida brezza passeggera? Escono articoli anche su riviste di grande rilevanza che inneggiano alla moda che abbatte steccati. Steccati di una labilità tale che, appunto, anche i nostri anziani riescono ad abbatterli a mani nude. La proposta è indubbiamente interessante, potremmo definirla liberatoria, per tutte le persone che di grigi, bluette, nero ne hanno abbastanza.  

Modelle che sembravano destinate all’oblio

Michelle Obama che riscrive e rilegge i propri codici, è un esempio dell’evoluzione in corso.  Rivedere in passerella le modelle che vengono dal recente passato è un altro indicatore della volontà di attirare altri acquirenti. Un mercato ancora da costruire che però ha già eletto a simboli le top model che per anni fatto sognare. Ora sono maturate, si divertono a giocare e continuano a restare dei simboli. Kate Moss, Gisele Bündchen, Linda Evangelista e l’immortale Naomi Campbell testimonial di celebri brand sono lì a garantire che è tutto vero?

Una botta di vita

Sembra quasi troppo bello. Moda portabile al di fuori di ogni età, adatta a chiunque si senta d’indossarla. Creata appositamente, studiata   a tavolino e non un mero aggiustamento dell’esistente. Uno svecchiamento del concetto, mentre matura l’età del consumatore medio. Ed è proprio questa necessità di essere attrattivi verso clienti maturi, che mostra il fianco. Chi sta rincorrendo chi? La firma o il cliente? È il mercato ad essere maturo e pronto a soddisfare l’esigenza di bellezza, o è un tentativo di occupare un altro settore? È una botta di vita per i consumatori e per le case di moda che aumenteranno i fatturati. Domanda a cui è difficile rispondere. Moda senza età

Moda senza età
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Insetti a tavola

Gli italiani li ritengono ancora alieni alla nostra cultura alimentare ma potrebbero cambiare opinione

La cultura che prevede di alimentarci con insetti è ancora molto lontana dal modo di pensare dei nostri connazionali. In altri paesi però è molto più semplice e non desta tanta antipatia. Mangiare insetti è una possibilità che ha diritto d’esistere. Non esiste alcun obbligo. Si può sempre rifiutare e chiedere alimenti con altri ingredienti. Del resto la storia ha la possibilità di fornire altri esempi di ingredienti rifiutati a priori, che sono diventati pressoché indispensabili. Insetti a tavola

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Le patate rifiutate

Le patate ad esempio sono state rifiutate soprattutto da francesi e italiani. Una erronea convinzione aveva fatto immaginare che potessero addirittura portare la peste.  Celebre la narrazione di come venissero coltivate in giardini sorvegliati da guardie, che avevano il compito di “non accorgersi” dei popolani che rubavano le piante. Un tubero così sorvegliato doveva essere una prelibatezza da nobili, la curiosità di assaggiarle ha fatto il resto. La diffusione è così diventata molto semplice.

Testimonial d’effetto

Le recenti campagne di consumo d’insetti edibili vede la partecipazione di un testimonial di grande spessore. È Nicole Kidman a dichiarare di gradire gli insetti e di riuscire tranquillamente a cibarsene. Eppure l’ostilità nei confronti degli insetti non scema, i nostri connazionali dichiarano che mai li ammetterebbero alla loro tavola. Li considerano ingredienti alieni, troppo distanti dalla consueta alimentazione. L’Europa ha sdoganato il consumo dei grilli domestici ridotti in polvere e presto li troveremo tra gli ingredienti utilizzati in alcuni prodotti. A dire il vero sono secoli che mangiamo insetti, anche se non lo sappiamo. Sono molti quelli che vengono macinati nei mulini assieme ai cereali, anche se la percentuale rispetto alle farine è irrisoria. Per legge una bassa percentuale è ammessa.

Insetti a tavola

Sono già tre

Gli insetti già ammessi per l’alimentazione sono tre. Oltre al grillo domestico (Acheta domesticus), le larve della farina (Tenebrio molitor) e la Locusta. Il grillo sembra essere il più gettonato, è infatti l’ingrediente più diffuso e per il quale sono state inoltrate le richieste di autorizzazione. Fanno parte di biscotti, panini, crackers, grissini, farine perla pizza, minestre, snack, birre, cioccolate, ecc. L’alzata di scudi preventiva ha dato vita ad un florilegio di articoli di stampa volti a difendere la purezza dei prodotti italiani. Una purezza tutta da dimostrare e che suona più di retorica che di reali radici. Questo non impedirà che gli insetti entrino lentamente nella nostra alimentazione.

Oltre la metà

Oltre la metà degli italiani non vogliono che arrivino nei loro piatti, un quarto si dichiara insofferente, mentre un quinto non approva ma nemmeno li respinge. Solo una piccola parte si dichiara favorevole, non solo per la curiosità di degustarli ma anche per un aspetto ecologico. Consumare insetti come sostituti delle proteine animali, comporta un cambio epocale della cultura legata all’allevamento animale.

Chi li certifica?

Resta il problema di certificare chi e come produce questi insetti, quali sono gli standard salutari con cui vengono allevati. Le aziende che li commercializzano vengono dall’estremo oriente, Cina, Thailandia, Vietnam, paesi talvolta coinvolti in problemi di natura alimentare. Il timore che il loro allevamento sia pressapochistico esiste. Ma d’altro canto sono culture che mangiano insetti da millenni e vantano una cultura enorme nel settore. Ciò che respinge maggiormente gli italiani sono le zampette, le parti mobili degli insetti che creano repulsione.

Una naturale diffidenza

Gli italiani sono solitamente molto diffidenti rispetto a qualunque innovazione riguardante l’alimentazione. Eppure sono curiosissimi di assaggiare. La contrarietà è comprensibile e riguarda anche la scarsa integrazione con culture provenienti da altre aree. Sarà necessario un lungo lavoro per consentire agli insetti di diventare parte dei nostri piatti. La iper-proteicità ed il prezzo molto basso potrebbero aiutare a diffonderli. Inoltre il mutamento in atto rispetto ai comportamenti etici, e la maggiore attenzione all’ambiente potrebbe portare a valutazioni di altro tipo. Insetti a tavola

Insetti a tavola

Credits: Sanzo, Pixabay

Benessere, Enogastronomia, Marketing

Health Warnings in etichetta

È un allarme esagerato o ha ragione d’esistere?

Sta per arrivare un’etichetta che ammonisce a non consumare alcol. Potrebbe provocare un danno d’immagine a tutto il settore del beverage, questa aggiunta di avvisi salutistici. Alcune associazioni vinicole italiane, sono partite lance in resta gridando allo scandalo e con l’intenzione di fare guerra alla UE. Le cose vanno però, riportate nel giusto alveo. Questi avvertimenti rispetto alla salute riguardano solo una minoranza, al momento è soltanto l’Irlanda che ne ha fatto richiesta. Se verrà approvata saranno solo gli irlandesi ad averli sui loro scaffali. Di base c’è una motivazione molto seria in quel paese, e riguarda il problema dell’alcolismo. La salute non è delegata alla EU, ogni nazione resta indipendente in quel settore. Perciò dovremmo evitare di fasciarci la testa inutilmente. Health Warnings in etichetta

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Quasi una pandemia

Bere in modo esagerato è uno dei problemi più sentiti nell’isola verde. Per porvi un freno hanno pensato di mettere degli avvisi chiari sulle bottiglie che ne sconsigliano l’abuso. Sono gli avvisi che da decenni sono riportati sui pacchetti delle sigarette. Inviti alla moderazione e al bere bene e sano. Chi vuole smettere di fumare o bere lo farà indipendentemente dall’avviso in etichetta. Come sempre è il buon senso ad essere il fattore determinante. Frugate nella vostra memoria, conoscete qualcuno che abbia smesso di fumare per gli avvisi sui pacchetti di sigarette? Il vino non è sicuramente uno dei prodotti più esportati in Irlanda, l’eventuale flessione delle vendite dovrebbe essere molto contenuta. Il rischio temuto dai nostri produttori e vinificatori, è, che possa essere un esempio per altre nazioni.

Non ci sono prove del danno

Il vino è uno dei prodotti più diffusi del settore eno-gastronomico e non esistono efficaci prove scientifiche della sua dannosità entro certi limiti. Bere con moderazione e bere vino di qualità non provoca nessuna delle malattie di cui lo si accusa. Anzi una dose opportuna viene consigliata da molti nutrizionisti. Questo contrasto di opinioni ha suscitato le proteste di chi il vino lo produce con passione e con tutti i crismi. Sotto accusa in realtà, più del vino sono i superalcoolici, i veri colpevoli della situazione di disagio in Irlanda.

Health Warnings in etichetta

Un precedente rischioso

Ciò che turba i sonni dei vinificatori è che l’esempio irlandese possa fare breccia e altri stati possano far propria la norma. Gli effetti sulla salute che vengono descritti nelle avvertenze sono troppo cruenti, e non vengono confutati in modo rilevante. Il mercato europeo potrebbe farsi coinvolgere e adottare questi messaggi allarmistici, che indubbiamente rovinano l’immagine del vino e degli alcolici. Il timore che s’inneschi un’emulazione è evidente, l’Italia non può permettersi una battuta d’arresto sui mercati, con quello che è uno dei suoi prodotti di punta. Va detto che è una norma che interessa un solo stato, e potrebbe essere esteso ad altri in altri settori. Ma la salute viene prima di tutto e su questo è inutile discutere.

Un simbolo sotto attacco

I produttori di vino e alcolici ritengono esagerati gli avvisi in etichetta. Un simbolo della cultura mediterranea finisce sotto attacco ingiustamente. A fare la differenza, però, non è tanto il consumo generalizzato, ma la quantità che finisce nei bicchieri. Forse le campagne di avviso potevano essere formulate in modo diverso e più puntuale. Maggior rilievo al quanto e non alla qualità del bere. Il rischio è che emerga il provincialismo italiano, sempre pronti ad attaccare la UE, vista come un “nemico” che cala dall’alto i suoi diktat per qualsiasi argomento. Ma di questo può occuparsi solo il Ministero della Sanità irlandese. Health Warnings in etichetta

Health Warnings in etichetta

Credits: Pixabay

Eventi, Marketing

Curare la fedeltà

il 03-12-2022 è nata BCV PLUS Boscaini Scarpe

A Natale i clienti potranno essere ancora più fedeli al brand Boscaini! Il 3 dicembre è stata lanciata la nuova carta vantaggi BCV PLUS, che prosegue un percorso nato oltre 7 anni fa. I primi dati sono davvero incoraggianti: i clienti sono felici della proposta che sta catalizzando le attenzioni al progetto. Curare la fedeltà

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Un lancio anticipato di 6 mesi

Uscita in anticipo per ridurre l’impatto inflazionistico che aumenta i prezzi dei prodotti, valida in tutti i 7 store della catena, presto anche per l’e-commerce. Un progetto fedeltà a cui Olab & Partners stava lavorando da tempo e che ha recuperato i dati e le informazioni raccolte negli anni precedenti di attività. Una sospensione, corrispondente gli anni della pandemia, che ha segnato a sorpresa, una forte mancanza esplicitamente dichiarata dai clienti.

Studiare il cliente è una questione anche di tecnologie

Una pausa indispensabile per riallineare le tecnologie e rivedere l’engagement di fidelizzazione, il fidanzamento con cliente – citando Cristina Lazzati nell’editoriale di questo dicembre di GDO WEEK. Siamo partiti dai numeri e dai dati che Boscaini Scarpe avevano a disposizione dalla precedente versione della carta fedeltà, dati raccolti grazie al sistema gestionale in essere. Abbiamo impostato un metodo di marketing che ha consentito di rielaborare l’incidenza, redditività, investimenti e costi di gestione del progetto, utilizzo, classi di fatturato e tutto quello che sono le info che ci può dare una profilazione. Dai dati più elementari a quelli più sofisticati. Il tutto complicato anche dalle variazioni continuative delle leggi sulla privacy o GDPR.

Rilanciare i vantaggi per mantenere autorevolezza

La revisione delle proposte di fidelizzazione, i vantaggi, è stata di fatto radicale ed è stata improntata in una logica triennale, con proposte reali e calibrate, rispettose della coerenza dei valori di Boscaini Scarpe, fortemente orientata al mondo fashion. Grande spinta all’utilizzo del digitale, riduzione dell’impatto ambientale potendo riattivare le precedenti carte anche da smartphone. La novità maggiormente significativa riguarda la gestione dei premi legata alle stagioni moda. Il non dover attendere la fine dell’anno solare, ma dare a fine stagione la possibilità al cliente di riscuotere i premi guadagnati. Investendo i buoni premio su nuovi prodotti: al termine della stagione invernale (28 o 29 febbraio) e di quella estiva (30 settembre) di ogni anno. Un articolato sistema di contatto con i clienti che si iscriveranno che consentirà al brand Boscaini di essere presente, man non stressare, il cliente fedele.

Progetto multidisciplinare, la fedeltà si costruisce in team

Un lavoro multidisciplinare che ha coinvolto strategia e marketing (Cesaro & Associati e Olab & Partners), branding e comunicazione (Wintrade srl ), tecnologie gestionali interne (Sys-dat Group), aspetti legali, regolamento (Pragmatica Plus) e privacy  (DPO RETE 231 S.C) e tutto il personale che è stato coinvolto nel processo e, in particolare, al gruppo dirigenziale Boscaini guidati dal PM project Leader Andrea Boscaini. Curare la fedeltà

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Benessere, Enogastronomia, Marketing

I birrifici artigianali volano

Un successo inimmaginabile fino a pochi anni fa, la cultura della birra è sempre più importante

In un decennio i birrifici e i micro-birrifici artigianali sono aumentati in modo esponenziale. Sono 1085 quelli esistenti, segno di una ottima salute del settore che fa segnare numeri record non solo sul mercato interno. C’è molto interesse anche dall’estero per le bionde, rosse, stout, IPA italiane, tanto che l’export viaggia con aumenti a 2 cifre percentuali. Una grande attenzione è rivolta agli ingredienti nazionali e locali. Molti birrifici hanno investito direttamente per avere la certezza di poter utilizzare materie prime certificate e locali. I birrifici artigianali volano

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Orzo e luppolo

Orzo e luppolo coltivati in Italia, sono una delle missioni future del settore. Ingredienti che tengano conto della disponibilità delle materie prime, in aree vicine ai birrifici. Crescono i birrifici a km zero, qualche struttura si è specializzata nella produzione di malto e nella coltivazione di luppolo nella propria zona, anche se la domanda è molto più forte dell’offerta. La difficoltà è trovare i terreni giusti per coltivare il luppolo italiano. Specializzazioni queste, che fanno la differenza e portano a prodotti sempre più riconoscibili nell’oceano di proposte. La filiera comincia ad avere una struttura matura, e punta a coprire il fabbisogno totale con materie prime locali. Quasi ogni regione ha sviluppato coltivazioni ad hoc, con molte varianti che assicurano fragranze uniche alle birre artigianali. Una specializzazione che garantisce una differenziazione ed una riconoscibilità, molto importanti per attirare consensi.

Richiesta in aumento

Aumenta esponenzialmente la percentuale di consumatori che amano sperimentare. La ricerca di nuove cotte, nuovi sapori, ha fatto lievitare i consumi. L’ipotesi è che a fine anno verrà raggiunto, e forse superato, il record di 35 litri a testa. Le aromatizzazioni particolari stimolano il mercato, i gusti inusuali occupano nicchie sempre più rilevanti. Quasi ogni ingrediente viene testato per soddisfare i gusti più disparati. Miele, castagne, canapa, mosto d’uva, agrumi, olive, zucca, ciliegie, solo per fare alcuni esempi, sono sapori sperimentati ed entrati in produzione. Aumenta anche l’attenzione per il settore gastronomico, l’accoglienza turistica come occasione di visitare birrifici è un settore in espansione. Sempre più ristoranti offrono una carta delle birre artigianali e ne consigliano gli abbinamenti. Cresce anche l’interesse per birre più alcooliche e speziate come quelle di Natale, recentemente premiate da UnionBirrai.

I birrifici artigianali volano

Voglia di sperimentare

Quella dei birrifici e micro-birrifici è una cultura artigianale legata ai giovani. Sono spesso progetti nati da imprenditorie giovanili e start-up. Un segno positivo di dinamicità e volontà d’innovare il settore. Il fenomeno ha creato molti posti di lavoro e ha dato nuove aspettative a chi cercava uno sbocco alla propria creatività. Sono nate anche nuove figure professionali, in grado di indirizzare le scelte produttive e garantire l’eccellenza delle birre. L’uso dei prodotti locali, non massificati, necessita di particolari vagli per assicurare la perfezione dei gusti, colori, sentori. Il settore risente ancora di una freschezza imprenditoriale che a volte commette errori di gioventù. Ma ogni esperienza serve a fortificare e a crescere.

Made in Italy sempre più richiesto

La richiesta di birre italiane dall’estero è in forte incremento. Ad attirare è proprio l’italianità del prodotto, per la sua unicità e la fantasia, nel proporre ingredienti insoliti o impensati. Un mercato veloce, che ha bisogno di consumare velocemente, poiché molte birre non sono pastorizzate o microfiltrate. Birre “giovani” nella produzione ma “importanti” nella struttura, che devono arrivare ai consumatori in tempi brevi. Destinate ad un pubblico curioso, disposto a spendere per degustare una bevanda “unica”, speciale in tutto il suo percorso. Una birra che è figlia di una ricerca che passa dall’innovazione, dall’intraprendenza e dalla fantasia dei birrai. I birrifici artigianali volano

I birrifici artigianali volano

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