Da un lato ci sono coloro che vogliono salvare il pianeta e lo fanno in modo etico, mentre dall’altro ci sono coloro che vogliono il guadagno immediato e se ne fregano del futuro del pianeta.
Forte malia ha fatto una scelta di campo, e si è schierata con chi ha a cuore il futuro, dando voce a tutto ciò che è eticamente corretto e denunciando ciò che danneggia.
Parliamo di proposte, innovazione, ricerca, divertimento, design, bellezza e lifestyle etici. Necessari per il nostro futuro, contro chi mette a rischio la possibilità di averlo, un futuro.
La controversia per ottenere un marchio riconosciuto fallisce.
È una battaglia che si svolge tutta in Oceania quella per il miele ottenuto da una pianta che cresce solo in Nuova Zelanda e Australia. I neozelandesi volevano ottenere un brevetto per essere gli unici ad utilizzare quel nome ma non ci sono riusciti. Erano anni che cercavano di ottenere la loro DOP ma il nome era troppo generico e quindi non poteva essere registrato. Il miele mānuka della Nuova Zelanda
Mānuka è il nome di un albero dai piccoli fiori bianchi che in Australia chiamano anche albero del té. Le api che frequentano i suoi fiori producono un te dalle proprietà salutistiche molto ambite. È ritenuto un antibatterico e antimicrobico naturale e per questa proprietà viene venduto ad un prezzo molto alto rispetto ai mieli concorrenti. La battaglia si sposta quindi sul fronte economico, chi potrà utilizzare quella denominazione, anche se generica, ne ricaverà evidenti benefici. È un articolo tra i più apprezzati e desiderati in ambito salutistico. La grande domanda ha fatto aumentare notevolmente il prezzo sul mercato internazionale.
Un articolo destinato a pochi
È un articolo di lusso, destinato ai pochi in grado di spendere cifre molto alte. La valutazione di un vasetto di miele di altissima qualità da 250 grammi, può superare i 2.000 euro. Viene venduto nelle erboristerie e tramite e-commerce. Il miele di manuka previene le infezioni, favorisce anche la digestione, aiuterebbe nella cura della pelle, prevenendo l’acne. Un articolo che ha fatto ingolosire anche la malavita, che vorrebbe prenderne il controllo. Negli ultimi anni si sono moltiplicati episodi sgradevoli con furti, vandalismi, distruzione di arnie o uccisioni di api.
Una parola maori
Mānuka, è una parola Māori, un patrimonio della cultura neozelandese, pertanto, la delusione per non aver la possibilità di essere gli unici ad usare la sua denominazione, è molto cocente. Non intendono demordere, anche se questa sentenza (già la terza) ha creato malumore. La sensibilità Maori verso il rispetto delle proprie tradizioni è fortissima. È un sentimento nazionale che si nutre della storia, del passato e della dignità di un intero popolo.
In Australia festeggiano
In Australia ovviamente festeggiano ed ottenuto lo sdoganamento del nome, ora possono dedicarsi a commercializzare maggiori quantità di miele. Nonostante i costi proibitivi, la domanda internazionale di miele mānuka è sempre più consistente. La sovra-produzione rischia di far abbassare i prezzi, ma agli australiani non importa, puntano ad ottenere il controllo del mercato grazie alla quantità che possono esportare.
La battaglia prosegue
Sembra una battaglia tra dirimpettai, ma in realtà nasconde molto altro. C’è anche il bisogno di una nazione poco popolata come la Nuova Zelanda di tenere alto il proprio “blasone”. I Maori e i loro discendenti sono un popolo fiero, con un’etica basata sulla condivisione di valori. Non perdonano agli australiani le loro radici britanniche e una cultura basata solo sul business. Il miele mānuka della Nuova Zelanda
Un museo di Amsterdam propone un modo innovativo di amare l’arte
Siete fan di Rembrandt e vorreste possedere una sua opera? Nulla di più facile, basta prenotarsi per una visita al “Poor Man’s Rembrandt Project“, per poter avere la possibilità di un tatuaggio davvero speciale. Saranno 4 i tatuatori a disposizione per realizzare sulla vostra pelle un tatuaggio ispirato alle opere del celebre pittore olandese. Un tatuaggio di Rembrandt
Appesa s’è diffusa la notizia c’è stata una corsa a prenotarsi. Per una settimana uno studio di tatuatori si trasferirà all’interno del museo, ma le prenotazioni sono talmente tante che il rischio è di non poter accedere. I disegni tra cui scegliere sono celebri ritratti o soggetti presenti nelle opere di Rembrandt. Sono eseguiti con la tecnica della “punta secca” un metodo caro all’artista che incideva direttamente sulle lastre di stampa con un ago. Lo stesso metodo con cui gli aghi dei tatuatori inseriscono l’inchiostro nella cute.
Voglia di rinnovamento
I curatori del museo vogliono tentare un’azione di avvicinamento ai più giovani con questo escamotage. Vogliono raggiungere un nuovo pubblico e fidelizzarlo. I tatuaggi che sono così alla moda tra i più giovani, possono veicolare anche le opere d’arte e diventare uno stimolo a conoscere ancor meglio l’artista in oggetto. Il costo è molto limitato, tra i 100 e i 250 euro, a seconda della complessità del disegno. È possibile avere anche solo l’autografo di Rembrandt o il logo del museo.
Il vero studio
Il museo è negli spazi che furono la vera casa-atelier-studio dell’artista e questo rende il luogo in qualche modo speciale e d’ispirazione. Il passaggio delle opere dalle mura del museo alla pelle dei visitatori è un esempio di come l’arte possa essere veicolata in modo differente. Chi ama i tatuaggi li colleziona sul proprio corpo, proprio come si fa con le opere d’arte. Ma le opere di Rembrandt sono poche e molto costose, è più semplice averne alcune sottopelle.
Tatuatori fan
I quattro tatuatori sono grandi fan del pittore e della sua tecnica pittorica ed incisoria. La sua capacità con pochi tratti di dare personalità ai soggetti è ritenuta unica. Per questo, hanno accettato la proposta del museo, di trasferirsi dal loro studio per lavorare. L’atmosfera stessa della casa probabilmente aiuterà ad entrare in contatto con l’autore e renderà i tatuaggi veri capolavori. Un tatuaggio di Rembrandt
Il colore è un elemento fondamentale nella comunicazione visiva e può avere un grande impatto sulla percezione delle persone.
La scelta dei colori può fare la differenza tra l’efficacia di una campagna pubblicitaria o decretarne il fallimento. Lo studio della psicologia del colore è stato sviluppato da diversi studiosi nel corso degli anni, tra cui Max Lüscher e Kandinskij. Secondo Lüscher, il colore può influire sulla percezione e sull’atteggiamento delle persone nei confronti di un prodotto o di un’azienda. Sosteneva che ogni colore ha un proprio significato e può evocare emozioni e associazioni diverse nella mente dei potenziali clienti. L’importanza del colore nella comunicazione
Ad esempio, il rosso è spesso associato all’urgenza e all’azione, il blu viene spesso utilizzato per trasmettere tranquillità e fiducia. Mentre il verde può essere utilizzato per comunicare l’idea di naturalezza o di eco-sostenibilità. Anche Kandinskij, pittore e teorico dell’arte, ha sottolineato l’importanza del colore nella comunicazione visiva. Egli sosteneva che il colore può influire sull’umore e sulla percezione delle persone e che ciascun colore ha una propria energia e significato simbolico.
Cromoterapia ed armocromia
Esiste persino una pratica nella medicina alternativa che utilizza i colori per il benessere fisico, emotivo e spirituale dell’individuo, la cromoterapia. Si basa sulla teoria che ogni colore ha una frequenza specifica che può influire sulla nostra energia, il nostro umore e il nostro benessere generale, aiutandoci a rilassarci o a stimolare la nostra energia. Abilita reazioni con le frequenze abbinate ai colori, crea empatie e associazioni che sono insite nel nostro subconscio. Una pratica che ha un grande seguito e che sta ottenendo risultati rilevanti. In questi giorni è alla ribalta un termine per molti inusuale come armocromia, ovvero l’armonizzazione dei colori.
Quale scelta per raggiungere il target
Scegliere il giusto colore è importante, soprattutto se abbiamo una strategia di marketing, ci aiuta:
Quando vogliamo veicolare un messaggio – Se stiamo creando l’identità del nostro brand – Qualora il nostro obiettivo sia far compiere una specifica azione ai nostri utenti.
I brand di maggiore successo e gli esperti di settore conoscono perfettamente il potere dei colori. Dovresti farlo anche tu se vuoi che la tua comunicazione sia efficace. Nello studio “Impatto dei colori nel Marketing”, i ricercatori hanno scoperto che circa il 90% dell’opinione che sviluppiamo su un prodotto la prima volta che lo vediamo è basata solo sul colore.
Un esempio chiarificatore
Prendiamo in esame un’azienda che tutti conosciamo, analizziamo il pack del marchio Barilla. La pasta Barilla con il suo iconico blu, si riconosce a chilometri di distanza. Lo scopo di essere riconosciuta è assolutamente riuscito, ma dietro a questa scelta c’è davvero tanto da dire. Il blu è uno dei colori meno invitanti in termini di appetito (perché in natura non sono presenti molti alimenti di questo colore). Nella grafica delle confezioni è ampiamente utilizzato in quanto piacevole e rassicurante, dona una sensazione di freschezza, pulizia e genuinità. Inoltre è molto elegante e sobrio, ma la scelta di Barilla, inizialmente fu fatta per ben altri motivi.
Restare nella tradizione
I negozianti, quando ancora la pasta veniva venduta sfusa, usavano una carta per alimenti azzurra per avvolgerla. Mantenendo questo colore, la massaia che nel dopoguerra acquistava pasta confezionata, aveva l’impressione di compiere un gesto simile a quello fatto alcuni anni prima. La novità del pacchetto non diventava un elemento destabilizzante. L’azienda si rese subito conto di quanto il pack poteva influenzare le abitudini d’acquisto della gente.
Precursori dell’immagine coordinata
Barilla creò anche un fascicolo sull’educazione alla scatola (1956) un antesignano del manuale dell’immagine coordinata. La scelta del colore non è assolutamente scontata: la riconoscibilità di questo brand è indiscussa. Fiducia e affidabilità, unita alla possibilità di avere una dispensa ordinata, con i pacchi di cartone. Il muro Barilla al supermercato funziona benissimo, anche se il design è lontano da quello di Rummo o di Felicetti. Strategie differenti e, probabilmente, anche diverso target.
Un esempio del nostro lavoro
Un lavoro fatto per un nostro cliente, Cibi Mundi / Capra Mundi, la sua richiesta iniziale era di avere un logo versatile adatto a comunicare la bontà dei loro formaggi di capra, quanto dei loro prodotti coltivati e delle conserve da loro ottenute. Tre categorie di prodotto che comunicano in modo diverso. Al cui interno hanno sottocategorie che variano da prodotti freschi o lavorati, da frutta a verdura. Come rappresentare tutto questo con un unico colore? Impossibile! Soprattutto se vogliamo che ogni sottocategoria sia ben rappresentata.
Zoccoli multicolor
In questo caso la forma che ho realizzato per il logo è stata d’aiuto. La stessa forma di base, le impronte di zoccoli di capra, ma che con le foglie verdi si trasformano in un frutto o ortaggio stilizzato. Serviva un colore base per il nome, adatto ad entrambi. Ho scelto un marrone per richiamare la terra, la ruralità, la materialità e la semplicità, colore adatto a tanti abbinamenti. Il logo base, usato nella comunicazione del marchio, ha i due frutti colorati di arancione, colore scelto perché è positivo. Un colore vicino ai giovani, come lo sono i due proprietari, e trasmette un messaggio molto fresco e moderno.
Un colore adatto ad ogni prodotto
L’arancione non può rappresentare tutta la categoria, serviva un colore adatto per ogni singolo prodotto. Rosso per la passata di pomodoro, verde del cavolo verza per i crauti al naturale, viola per la confettura di prugne, ecc. Ogni logo con il colore rappresenta il prodotto contenuto all’interno del vasetto, rimarcato dalla grafica con la foto del prodotto fresco in etichetta.
Gli errori da evitare
In conclusione, ora che capito l’importanza del colore, vediamo quali sono gli errori da evitare: Usare troppi colori. Una composizione con una varietà eccessiva di tinte cromatiche può creare confusione. Si rischia di non trasmettere il corretto significato del messaggio. Se l’obiettivo è rappresentare inclusività, informalità, apertura e diversità, la scelta del multicolor è adatta, in quanto viene collegata anche a quella della bandiera della pace. Solitamente i brand che la usano vogliono dimostrarsi aperti, multietnici ed inclusivi comunicando un forte messaggio etico oltre che professionale.
Sbagliare accostamento cromatico.Alcuni colori non possono essere proprio accostati tra loro, se non con alcuni accorgimenti grafici. Ad esempio, le scritte fucsia o rosse su fondo verde o blu creano un effetto psichedelico.
Sbagliare la scelta dei colori. Ogni colore esprime un significato ben preciso. Pertanto quando andiamo a creare un messaggio, un logo o un packaging di un prodotto, dobbiamo tenere bene a mente il valore simbolico che un colore trasmette.
Non tenere in considerazione il target. La percezione del colore cambia in base alla nostra cultura e alla somma delle nostre esperienze, quindi il significato non può essere universale. Ad esempio il significato del colore rosso per chi ha una cultura cristiana è sacrificio, passione, amore, in Cina è il colore delle spose e in Sud Africa è il colore del lutto.
Volete un consiglio? Non sottovalutate mai i dettagli, assieme al colore spesso sono quelli che fanno la differenza. L’importanza del colore nella comunicazione
Una mostra d’arte “Artificial Imagination” ha sollevato grandi polemiche e preoccupazioni nel mondo della grafica
Sono immagini generate dall’intelligenza artificiale, ha senso pensarle come vere opere d’arte o sono solo esercizi di stile. Appenderle alle pareti di una mostra è il modo per sdoganarle o per metterle all’indice? DALL-E 2 è un’applicazione che ha sorpreso e sconvolto molti dei suoi fruitori. Utilizza l’Intelligenza Artificiale ed ha enormi potenzialità. Qualcuno già parla di fine del lavoro per chi si occupa di grafica. Probabilmente è eccessivo, ma un cero timore tra chi si occupa del settore c’è. Dall-E 2 Arte creatività o bluff
La difficoltà è creare un divide, un confine. Fin dove è arte e creatività, e dove comincia la semplice gestione fatta da AI di un’idea? Se si parla di idea forse la creatività è ancora presente e fondamentale. Se è solo mera esecuzione di un ordine, il confine diventa molto labile. Quasi una questione di lana caprina. L’approccio alla APP può essere molto diverso, ognuno aggiunge precisi dettagli per arrivare al risultato atteso. È vera originalità, o solo una felice sintesi di una serie di indizi?
Gli artisti non fanno chiarezza
C’è chi utilizza la APP per aggiungere o schiarirsi le idee, per selezionare linee su cui elaborare. Altri fanno eseguire pedissequamente la descrizione del loro “lavoro”, aggiungendo stili che non hanno ancora esplorato. Imitazioni con lo stile degli espressionisti o dei cubisti, interessanti, ma senza la vera anima dell’artista. Opere che possono essere di alto livello o toccanti, esposte come veri capolavori o soltanto trucchi grafici?
Una mostra stimolante
L’obiettivo ricercato dagli organizzatori era stimolare una discussione, e sicuramente hanno ottenuto il loro target. Gli articoli si susseguono, in rete o sul cartaceo, ovviamente ben ripartiti tra caldeggiatori ed oppositori. L’IA serve a stimolare la creatività, migliorarla, regalare nuovi processi creativi o è solo un’alterazione della realtà. E tutto questo cos’ha a che fare con l’arte? Ritorniamo a parlare di limiti, di confini da superare o da non superare. È l’inizio della democratizzazione dell’arte, aperta a chiunque ne voglia usufruire? Tutti in grado, purché in possesso di una buona idea, di produrre capolavori?
Basta una frase ad effetto
L’IA ha possibilità illimitate. Un buon artigiano in possesso delle giuste informazioni può sviluppare la propria immaginazione. In questo caso d’uso, ha il potere di democratizzare la creazione dell’arte, ogni nostro pensiero, sogno, incubo, può tradursi in qualcosa di visibile. La APP si occupa solamente di tradurre l’immaginazione, se sappiamo descriverla correttamente. Basta inserire una frase che rappresenti una nostra fantasia e lasciare che DELL-E 2 la sviluppi. Possiamo anche aggiungere lo stile di un altro artista per rendere il nostro capolavoro unico. Possiamo sognare alla Michelangelo o alla Braque ed avere risultati agli antipodi. Quale sia il mix corretto di input resta al momento il segreto che ognuno dovrà sviluppare.
In vendita o gratuita
Arte in vendita o arte gratuita? Uno stimolo per altri per produrre a loro volta il loro personale capolavoro, o qualcosa da possedere? Molte le domande in questo senso, con risposte assai articolate dagli “artisti”. Qualcuno rivendica la capacità della propria creatività di produrre immagini uniche, e quindi ne rivendica la proprietà. Altri pensano che sia corretto considerarli stimoli e indicazioni, e che debbano essere liberi. Chi ama l’immagine prodotto dalla AI deve avere la possibilità di averla o riprodurla, e appenderla dove vuole. Torniamo alla domanda originaria: esercizi di stile o vera arte? Dall-E 2 Arte creatività o bluff
Una nuova tecnologia permette di “crearle” senza cottura
Una start-up olandese ha segnato un nuovo limite alla produzione della birra. Utilizza una tecnologia imprevista quella delle stampanti. La Bar.on di Anversa produce birra con una “stampante molecolare”. Bastano acqua del rubinetto e gli aromi contenuti nelle sue cartucce, per produrre bionde, rosse o stout a piacere. Servono solo pochi istanti per avere a disposizione la birra dei propri desideri. Birra fatta con la stampante molecolare
Potete decidere quale gusto privilegiare e potete pure modificare la percentuale di alcool. Se preferite una birra “leggera” come le beverine Stella Artois, o “intense” come una Guinness potete modulare la stampante a vostro piacere. Potete scegliere quanto deve essere amara o quali retrogusti deve avere, fruttati o ambrati. Esiste anche la possibilità di realizzarle analcoliche.
Niente fermentazione
Con la stampante messa a punto dalla start-up non c’è la necessità di cuocere e far fermentare la birra. Ognuno può realizzare la bevanda preferita semplicemente decidendo in anticipo, quali canoni e sapori dovrà avere. Semplice come preparare un caffè con le attuali macchinette a cialde, basterà selezionare tra i tasti a disposizione, le varie combinazioni. Se la cosa prenderà piede sarà un altro elettrodomestico pronto all’uso, senza bisogno di andare al supermercato o in birreria a procurarsi le bottiglie o le lattine.
Realizzata con l’esperienza dei microbiologi
La birreria a domicilio è stata sviluppata dagli scienziati di microbiologia dell’Università Vib-Ku Leuven. Le cartucce usano composti chimici che vengono addizionati a normale acqua potabile. Una pratica semplice, alla portata di qualunque massaia, che ha anche implicazioni etiche ed elementi importanti di sostenibilità. Viene eliminata tutta la parte della maltazione, della cottura e soprattutto dell’imbottigliamento, etichettatura e trasporto. Soprattutto i trasporti di bottiglie, keg e lattine costituiscono una grande parte dell’impronta carbonica legata alla produzione e ai consumi della birra.
Testato tutto l’anno
La start-up la testerà per tutto il prossimo anno mentre sviluppa rapporti con le aziende in grado di produrre la stampante in grande quantità. Il progetto ha interessato molte aziende che hanno fiutato una buona possibilità di business. Al momento l’interesse è rivolto, più che ai consumatori finali al settore della ristorazione. Ogni bar/caffè/trattoria/ristorante/pizzeria, potrebbe mettere a disposizione una propria linea di birre a brand personalizzato. Al momento non ci sono notizie sul prezzo dell’attrezzatura, molto dipenderà dal numero dei pezzi messi in produzione.
Micro-birrifici in allerta
A patire l’eventuale concorrenza sarebbero i birrifici e i microbirrifici che della loro peculiarità di gusto, hanno fatto un punto di forza. Da alimento per degustatori e conoscitori, la stampante renderebbe un lavoro secolare, divulgato da monaci trappisti e mastri birrai una variabile trascurabile. Un mestiere che potrebbe venire svilito, rapidamente, se le reali possibilità di creare il proprio gusto personale prendesse corpo.
I locali non credono al cambiamento
I proprietari delle birrerie e dei pub non credono a questo cambiamento. Ritengono che la socialità che è l’elemento indiscutibile di attrazione per i loro clienti, non potrà essere intaccata. Ma sappiamo che eventi straordinari possono portare ad evoluzioni straordinarie. Anche il cinema sembrava godere di una forza sterminata, ma sono bastati due anni di pandemia per favorire in modo definitivo le compagnie di distribuzione di film in rete direttamente a casa. Il cinema fatica moltissimo a riprendere, potrebbe accadere la stessa cosa alle birrerie.
Restiamo alla finestra
Restiamo alla finestra per vedere come andrà a finire. Sarà in ogni caso necessario assaggiare queste birre stampate molecolarmente prima di poter dare un giudizio. Come molte delle innovazioni alimentari, probabilmente vedremo alzarsi qualche scudo protettivo, in attesa che il governo proibisca anche questo nu food. Birra fatta con la stampante molecolare
Caldo, freddo, insaporito, aromatico, verde, tante variabili per trovare quello che ci piace.
Conosciamo abbastanza poco del tè, ne esistono talmente tante varianti che non basterebbe una vita per degustare le 1.500 tipologie conosciute. È la bevanda preferita in molte culture, sicuramente la più consumata al mondo. In Italia sono relativamente poche le tipologie che possiamo trovare nei supermercati. Quasi tutti a base di tè nero aromatizzato in modi differenti. Sui mercati internazionali esistono talmente tante varietà da perderci la testa. Agli italiani piacciono soprattutto i gusti più forti, con aromi decisi. Una tazza o una bottiglia di tè come la preferite
Curioso come il tè non venga apprezzato uniformemente in tutto il paese, anche in questo caso la regionalità porta differenza. A partire da una grande discriminante, caldo o freddo? Molti amano e associare il tè all’idea di qualcosa di caldo, e lo associano alle stagioni fredde. Mentre altri preferiscono il leggero brivido della bottiglietta o del contenitore fresco. Il gusto anglosassone per i tè decisi, ha fatto scuola anche in Italia. Anche le varietà fruttate o speziate sono quasi unicamente su base di tè nero. I timori che possa compromettere la nostra salute ha creato un grande spazio anche ai deteinati.
Come lo acquistate
Mentre per il tè caldo le bustine dominano le scelte dei nostri connazionali, per la versione fredda, c’è maggiore incertezza. In alcuni casi domina il preparato in bustina, in altri si predilige il prodotto già pronto in bottiglia. Nel tè freddo in bottiglia, la grande lotta tra aromatizzato al limone o alla pesca è sempre all’ordine del giorno. Va detto che il limone vince ovunque, anche se in alcuni casi quasi pareggia. Nella media nazionale il gusto limone resta indubbiamente il preferito. Ma c’è un terzo incomodo, il tè verde che si sta ritagliando buone quote di mercato e sembra il gusto in maggiore ascesa. Anche nelle versioni liofilizzate resiste il tè al limone, inseguito da pesca e verde. Importante anche in questo caso l’ascesa dei prodotti deteinati.
Sostituto dell’acqua
Bevanda perfetta per accompagnare tutta la giornata, ha sostituito per molti la classica bottiglietta d’acqua. La grande varietà di aromatizzazioni consente di trovare quella che incontra il nostro gusto. Preferito dai giovani anche per il bassissimo o zero apporto di zuccheri, viene ritenuta una bevanda sostenibile ed etica, che incontra ed incoraggia anche valori ecologici. Da sottolineare i benefici che apporta all’organismo. Consumato da millenni come tonico, corroborante, antiossidante, ha dato vita ad una vera cultura che confina con la medicina vera e propria.
Tanti benefici
Cosa attiva il tè? Ha indubbi benefici per il nostro corpo e pochissime eccezioni. Contiene polifenoli ed ha ottime proprietà antiossidanti, antibatteriche antinfiammatorie e antivirali. Sono poche le possibilità che interferisca sulla nostra salute, anche se alcune cautele vanno prese nel consumo di tè verde in associazione ad alcuni medicinali. Meglio chiedere al medico se è consigliabile berne. Il tè purtroppo non funziona come cura per perdere peso, anche se alcuni lo teorizzano, in realtà è più semplice assumerlo amaro senza zucchero o dolcificanti, e per questo alcuni lo considerano ideale per accompagnare regimi specifici. Non tutti i deteinati sono veramente naturali, i solventi utilizzati sono il tallone d’Achille del processo. Aggiungere limone non ne esalta le positività ma migliora solo il gusto, se è il vostro preferito. Una tazza o una bottiglia di tè come la preferite
L’uovo ha una ricca tradizione che si perde nei meandri della storia. Se li scambiavano come segno di pace e buoni rapporti di vicinato, le famiglie e le tribù che vivevano nell’attuale medio oriente, già alcuni millenni fa. Simbolo di rinascita e della primavera, ha continuato a mantenere quel messaggio fino a pochi secoli fa. Al tradizionale uovo di gallina, dipinto o meno che fosse, s’è sostituito il più pratico uovo di cioccolato, e con lui il rito della sorpresa contenuta all’interno. Uovo di Pasqua come lo vorreste
Ha perso un poco del suo fascino nel tempo, anche se si sono moltiplicati i brand che producono uova di cioccolato con sorpresa. Piacciono moltissimo ai bambini e ai giovanissimi che ne sono i principali destinatari. I brand hanno specializzato il loro prodotto proprio in funzione del tipo di dono, personalizzandolo con sorprese che sono maschili o femminili. Ogni linea è dedicata a personaggi cari ai più piccoli, ricalcando i fumetti, i giochi, i videogames, lo sport o i cartoni animati. La certezza di poter far trovare all’interno una sorpresa gradita, aiuta a scegliere l’uovo “giusto”.
Nonni e genitori i donatori
Essendo i figli e i nipoti i destinatari, sono i genitori e i nonni i più sensibili all’acquisto. Vista la situazione finanziaria dei minorenni, che raramente possono spendere per uova di cioccolato, sono gli over 65 a donare e questo crea una curiosa distorsione. Ovvero, gli italiani sono molto più propensi a regalare le uova, piuttosto che a riceverle. Fanno eccezione a questo trend nonno-nipote le uova pasquali donate come segno di riappacificazione o riconciliazione. Riceverle come simbolo di riallaccio di rapporti è graditissimo e molto piacevole.
Cosa vorreste trovare come sorpresa
Gli italiani sono generosi e col loro uovo vorrebbero regalare salute e buona sorte. Felicità e numeri del superenalotto vincenti, sono tra i sogni ad occhi aperti di chi riceve il dono. Curiosamente pochissimi desiderano oggetti preziosi, orologi o gioielli. Qualcuno vorrebbe trovare il numero di telefono dell’amore della vita ben custodito nel cioccolato. Altri vorrebbero trovare l’invito a presentarsi ad un nuovo posto di lavoro garantito. Gli italiani sognano più affetti e stabilità rispetto a vistosi accessori, riflettendo i timori di perdere potere economico.
Pasqua legata alla pace
Sono parecchi gli italiani che delegano all’uovo pasquale la simbologia di rapporti amorevoli, ricomposti, ritrovati. Sognano di regalare uova a persone con cui i rapporti si sono interrotti o logorati per ricominciare a frequentarsi. Anche in questo caso sono le persone più anziane che vorrebbero riallacciare i rapporti con figli, familiari, amici, vicini con la scusa di condividere un uovo di cioccolato. D’altro canto quasi nessuno vorrebbe regalarlo a qualcuno che si frequenta sul posto di lavoro, boss in modo speciale, e alle suocere.
Gusto preferito
Vince decisamente il cioccolato fondente nell’immaginario, ma si scontra con il bisogno di regalare l’uovo di cioccolato soprattutto ai bambini. Di conseguenza si vorrebbe regalare fondente ma si ripara sul cioccolato al latte più gradito ai giovanissimi. Raro il cioccolato bianco. Ricercati ma costosi i prodotti di alta gamma che potremmo definire di pasticceria. Uovo di Pasqua come lo vorreste
Grazie all’Associazione Italiana Ambasciatori del Gusto che ci ha affidato l’organizzazione dell’evento Futura ed. 2023, Olab & Partners si è attivata in modo sistemico nell’affrontare un progetto multidisciplinare. Una sfida bella e complessa, ambiziosa sicuramente. Un programma che ha interconnesso una moltitudine di soggetti, pubblici e privati, istituzioni nazionali e celebrity, stampa e media. Olab & Partners ADG FUTURA ed. 2023
Progettazione, condivisione, sopralluoghi, sponsorizzazioni, comunicazione off e online, grafica, produzione, stampa, e tutto quello che concerne lo sviluppo di un progetto con una visione di medio periodo. È così che a O&P piace operare. Procedere su un cammino che dia la possibilità di costruire, su cui investire anche risorse economiche proprie. Per sviluppare un progetto comune, irto di soddisfazioni, ma, non lo neghiamo, anche di grandi difficoltà. Per questo vogliamo condividere un ringraziamento a partner, sponsor, collaboratori, assistenti e fornitori tecnici e tecnologici per il loro prezioso lavoro.
Valorizzazione della filiera agroalimentare
Il progetto ADG Ambasciatori del Gusto pone al centro del suo operato la valorizzazione della filiera agroalimentare italiana di eccellenza. Sostenuta da valori di eticità e sostenibilità che il team di O&P sente propri. Un contesto che ci vede partecipi nel nostro animo profondo. Per la provenienza rurale di alcuni di noi, o per la scelta di restare fortemente ancorati al food & beverage. Vuoi perché vediamo quanto fondamentale è questo approccio per il pianeta e il clima.
Visione di sostenibilità futura
Restare fedeli a una visione di sostenibilità futura della nostra vita, che parte dal cibo. Un bisogno primario, ma anche fattore di sviluppo economico e turistico senza precedenti per la nostra Italia. Il bello della nostra cultura accompagnato dal buono di esperienze alimentari. La bellezza dei nostri paesaggi e la cura della biodiversità, sono il lascito straordinario alle nuove generazioni del mondo. La candidatura della nostra cucina a Patrimonio dell’Umanità implica un impegno davvero profondo di visione e fatica quotidiana.
Preservare ed evolvere il Made in Italy
Conservare, in questo caso, assume il tono di preservare ed evolvere. Verso una possibilità di gratificazione sensoriale innovativa, ma anche economica, della produzione e ristorazione di qualità che, trascina tutte le filiere agroalimentari, comprese quelle agricole. Nessuno stigma verso la ricerca e l’innovazione di modalità adeguate, per alimentare la popolazione mondiale. Non tutto può essere proposto come italiano o, diciamo così, non può né deve accompagnarsi agli asset valoriali del Made in Italy.
Obiettivi, competenze e impegno
Obiettivi importanti quelli degli Ambasciatori del Gusto, che O&P appoggiano in pieno. Seppur nella consapevolezza di essere una goccia nel mare magnum del settore, che è globale. Il team O&P mette a disposizione il meglio delle competenze e impegno in ambito marketing, communication & technology. Per la gestione della polis comune che, volenti o nolenti, ci riguarda tutti. Olab & Partners ADG FUTURA ed. 2023
Un museo itinerante ci racconta grandi flop e le loro conseguenze.
La parola fallimento in Italia ha un significato molto negativo e lo associamo troppo spesso a situazioni che avranno conseguenze pessime. Non è così in molte altre realtà che hanno saputo farvi fronte e hanno trovato nuovi spunti ed energie. In Svezia dal 2017 esiste un museo itinerante particolare, dedicato proprio ai grandi fallimenti industriali, i grandi flop commerciali, i fiaschi come li definiremmo noi, dal punto di vista commerciale. Imparare dai fallimenti.
Non si limita solo ad esporli per suscitare ilarità o riportare alla memoria brandelli di storie vintage. È uno stimolo ad apprendere ad evolvere. Quasi tutte le aziende rappresentate hanno fatto tesoro dei loro insuccessi, e incanalato maggiori energie nel creare nuovi prodotti. Il museo dei flop fa leva sul grado di accettazione dei propri errori e sulla possibilità di apprendere. Riuscire a ridurre il timore di sbagliare è uno dei mezzi con cui ci siamo evoluti, accettare che qualcosa possa andare male è il solo modo per progredire.
Molti marchi celebri
Sono presenti molti marchi celebri, che sono inciampati in prodotti che i consumatori non hanno apprezzato. Sono rimasti negli scaffali, non hanno dato una resa economica sufficiente per mantenerli in vita, e sono stati eliminati. Tra loro esempi illustri come Oreo, Coca-Cola, Pepsi, che però hanno proseguito nei loro percorsi, imparando dai loro errori. È catartico per molte persone scoprire che aziende così rinomate hanno fallito, se loro lo hanno fatto allora posso rischiare anch’io.
Una caccia al tesoro
Le grandi aziende tendono a far dimenticare rapidamente i loro errori, fanno sparire i prodotti di scarso appeal. Non vogliono nemmeno che vengano ricordati. Ma il curatore della mostra ha fatto una vera caccia al tesoro, andando a scovare questi insuccessi. A riprova che si può sbagliare e imparare, provare, riprovare, fino a trovare il bandolo e raggiungere il successo commerciale. Sbagliare aiuta a migliorare, a cambiare, a trovare una versione migliore di quello che proponiamo.
Molti esempi
La storia è molto ricca di esempi di fallimenti che si sono rivelati la chiave per trovare nuove direzioni. Il fallimento di solito non è così brutto o spaventoso come molti immaginano. Le conseguenze di un tentativo fallito potrebbero portare a grandi svolte, nuove visioni. Convogliare le energie in nuovi progetti che migliorino le performances dei fallimenti, sono lo stimolo corretto per arrivare al successo. È la filosofia con cui le start-up possono sviluppare le loro idee. Coi corretti timori di fallire, ma con la conoscenza che si può ricominciare e migliorare. Imparare dai fallimenti
Lo sostiene un articolo pubblicato sul quotidiano Financial Times.
Per fare uno scoop e vendere più copie, serve un titolo civetta, forse è questo lo scopo dell’articolo apparso sul Financial Times, che vuole ribaltare molte delle nostre conoscenze. A farne le spese è la nostra cultura culinaria che viene presa a pesci in faccia. Il grimaldello utilizzato, è un vecchio articolo di un docente dell’alimentazione di Parma. Decisamente lontano da quella che è la tradizione e la cultura italiana. La carbonara è americana
Prese di posizione, anche molto severe, sono arrivate dai produttori e dalle associazioni di categoria. Parmigiano Reggiano in testa, a difendere l’unicità e la veridicità del proprio prodotto. In una delle dichiarazioni pubblicate nell’articolo del F.T. il vero parmigiano sarebbe quello del Wisconsin. Strampalata considerazione, visto che le industrie casearie di quello stato sono celebri per i falsi. Sono tra le più presenti nelle aule dei tribunali, per aver copiato quasi ogni tipo di formaggio del globo. Li producono con denominazioni molto simili o addirittura coi nomi originali.
Ricetta originale immutata da secoli
Il Parmesan del Wisconsin a detta di Alberto Grandi sarebbe più vicino alla ricetta originale. Con forme di soli 10 chili rispetto a quelle attuali di circa 40 chili. Ma la ricetta nella sua semplicità (latte, caglio, sale) non può essere modificata. Viene ripetuta da almeno 800 anni e sono le abilità dei casari a render unico il formaggio. Stigmatizzare la crosta impressa a fuoco, vero simbolo del Parmigiano Reggiano attuale, perché un tempo le forme erano coperte da una crosta nera, sembra anacronistico.
Un attacco alle tradizioni italiane
Incomprensibile l’attacco alla tradizione culinaria italiana, che il F.T. vuole portare, proprio ora che è stata presentata la candidatura a Patrimonio immateriale dell’umanità all’Unesco. Forse proprio la candidatura infastidisce qualcuno nel distretto economico-finanziario interessato al food & beverage. Prendersela con carbonara, panettone e tiramisù per svilire un intero settore sembra incauto. Soprattutto, sembra poco credibile
Carbonara Panettone Tiramisù
La barzelletta secondo la quale a inventare la carbonara sarebbero stati gli americani è veramente da tenersi la pancia per le risate. Così come attribuire una nascita recente a dolci celebri come panettone e tiramisù, è infondata. Potrebbe far sorridere e pensare all’articolo di colore acchiappa-click, ma mette in discussione uno dei settori trainanti della nostra bilancia commerciale. Aziende, maestranze e posti di lavoro vengono messi in gioco da una “boutade” giornalistica, che potrebbe portare a danni economici.
Danni d’immagine
Non crediamo che l’articolo riuscirà a far cambiare opinione a molte persone, ma forse sarebbe il caso di chiedere i danni d’immagine a chi specula con notizie molto discutibili o chiaramente false. Appoggiare anche solo per un minuto l’idea che il vero Parmigiano Reggiano possa essere quello del Wisconsin è da irresponsabili. Attendiamo conferme o smentite da parte del F.T. un quotidiano che ben conosce l’aspetto delle fake news divulgate in campo economico. La carbonara è americana