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Birra fatta con la stampante molecolare

Una nuova tecnologia permette di “crearle” senza cottura

Una start-up olandese ha segnato un nuovo limite alla produzione della birra. Utilizza una tecnologia imprevista quella delle stampanti. La Bar.on di Anversa produce birra con una “stampante molecolare”. Bastano acqua del rubinetto e gli aromi contenuti nelle sue cartucce, per produrre bionde, rosse o stout a piacere. Servono solo pochi istanti per avere a disposizione la birra dei propri desideri. Birra fatta con la stampante molecolare

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Gusto ed alcool

Potete decidere quale gusto privilegiare e potete pure modificare la percentuale di alcool. Se preferite una birra “leggera” come le beverine Stella Artois, o “intense” come una Guinness potete modulare la stampante a vostro piacere. Potete scegliere quanto deve essere amara o quali retrogusti deve avere, fruttati o ambrati. Esiste anche la possibilità di realizzarle analcoliche.

Niente fermentazione

Con la stampante messa a punto dalla start-up non c’è la necessità di cuocere e far fermentare la birra. Ognuno può realizzare la bevanda preferita semplicemente decidendo in anticipo, quali canoni e sapori dovrà avere. Semplice come preparare un caffè con le attuali macchinette a cialde, basterà selezionare tra i tasti a disposizione, le varie combinazioni. Se la cosa prenderà piede sarà un altro elettrodomestico pronto all’uso, senza bisogno di andare al supermercato o in birreria a procurarsi le bottiglie o le lattine.

Realizzata con l’esperienza dei microbiologi

La birreria a domicilio è stata sviluppata dagli scienziati di microbiologia dell’Università Vib-Ku Leuven. Le cartucce usano composti chimici che vengono addizionati a normale acqua potabile. Una pratica semplice, alla portata di qualunque massaia, che ha anche implicazioni etiche ed elementi importanti di sostenibilità. Viene eliminata tutta la parte della maltazione, della cottura e soprattutto dell’imbottigliamento, etichettatura e trasporto. Soprattutto i trasporti di bottiglie, keg e lattine costituiscono una grande parte dell’impronta carbonica legata alla produzione e ai consumi della birra.

Testato tutto l’anno

La start-up la testerà per tutto il prossimo anno mentre sviluppa rapporti con le aziende in grado di produrre la stampante in grande quantità. Il progetto ha interessato molte aziende che hanno fiutato una buona possibilità di business. Al momento l’interesse è rivolto, più che ai consumatori finali al settore della ristorazione. Ogni bar/caffè/trattoria/ristorante/pizzeria, potrebbe mettere a disposizione una propria linea di birre a brand personalizzato. Al momento non ci sono notizie sul prezzo dell’attrezzatura, molto dipenderà dal numero dei pezzi messi in produzione.

Birra fatta con la stampante molecolare

Micro-birrifici in allerta

A patire l’eventuale concorrenza sarebbero i birrifici e i microbirrifici che della loro peculiarità di gusto, hanno fatto un punto di forza. Da alimento per degustatori e conoscitori, la stampante renderebbe un lavoro secolare, divulgato da monaci trappisti e mastri birrai una variabile trascurabile. Un mestiere che potrebbe venire svilito, rapidamente, se le reali possibilità di creare il proprio gusto personale prendesse corpo.

I locali non credono al cambiamento

I proprietari delle birrerie e dei pub non credono a questo cambiamento. Ritengono che la socialità che è l’elemento indiscutibile di attrazione per i loro clienti, non potrà essere intaccata. Ma sappiamo che eventi straordinari possono portare ad evoluzioni straordinarie. Anche il cinema sembrava godere di una forza sterminata, ma sono bastati due anni di pandemia per favorire in modo definitivo le compagnie di distribuzione di film in rete direttamente a casa. Il cinema fatica moltissimo a riprendere, potrebbe accadere la stessa cosa alle birrerie.

Restiamo alla finestra

Restiamo alla finestra per vedere come andrà a finire. Sarà in ogni caso necessario assaggiare queste birre stampate molecolarmente prima di poter dare un giudizio. Come molte delle innovazioni alimentari, probabilmente vedremo alzarsi qualche scudo protettivo, in attesa che il governo proibisca anche questo nu food. Birra fatta con la stampante molecolare

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Dieta mediterranea originale ricca di pesce

Quanto pesce arrivava sulle nostre tavole? Perché troviamo solo resti di capre, buoi e pecore?

Esiste una teoria che considera il pesce locale mediterraneo, come una parte poco rilevante della nostra dieta originale. Basata più sulle carni che sul pescato. La dieta mediterranea viene studiata in ogni dettaglio, e continuano ad uscire reperti che rivoluzionano quel tipo di pensiero. Il mare nostrum come lo chiamavano i romani ha sempre fornito buone dotazioni di proteine ittiche. Dieta mediterranea originale ricca di pesce.

Ma i reperti negli insediamenti antichi mostrano solo parti appartenute a capre, pecore, suini e bovini. In realtà tra i resti c’è anche molto pesce, ma le sue lische piccole e fragili, vengono disperse facilmente. La loro fragilità le fa scomparire ad una prima ricerca, solo con gli approfondimenti si trovano resti di pesci.

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Zoo-archeologi al lavoro

Nell’isola di Creta un gruppo di zoo-archeologi svolge ricerche in quel senso e sta ribaltando l’idea di popoli di soli allevatori. Non solo ovini o ruminanti da mungere e a fornire carni, ma anche vasche di allevamenti ittici. Se questi grandi investimenti sono stati fatti, come mai non si rintracciano i resti? Eppure il pesce era alla base della quotidianità. Rappresentava buona parte dell’apporto proteico delle diete.

Testimonianze ma poche rappresentazioni

Ci sono testimonianze che lo dimostrano, anche se il pesce raramente era parte dei sacrifici agli dei, non veniva rappresentato nei templi o nei luoghi pubblici. Alcuni teorici individuano il Mediterraneo come troppo poco pescoso, ed irrilevante anche per la più celebre dieta. In effetti sono pochi i fiumi che scaricano nutrienti a mare e quindi, la catena alimentare parte ad handicap rispetto agli oceani. Ma i ritrovamenti di piccole parti di lische e teste dimostrano che il pesce era parte integrante della dieta.

Dieta mediterranea originale ricca di pesce

Renderlo più pescoso

il pesce è parte integrante delle diete moderne, l’ipotesi di un Mediterraneo più pescoso sarebbe molto positiva, anche attualmente. L’apertura del Canale di Suez ha mutato la situazione attuale, molti pesci non originali entrano nel Mediterraneo e sconvolgono l’habitat. Alcune specie aliene sono anche pericolosamente tossiche. A questo aggiungete una pesca dissennata e avrete una pessima immagine dell’esistente.

Pesca sostenibile

Secondo l’Organizzazione delle Nazioni Unite per l’alimentazione e l’agricoltura, solo il 37% degli stock valutati nel Mediterraneo e nel Mar Nero è stato pescato entro livelli biologicamente sostenibili. Dopo che la diga di Assuan è stata completata, il flusso di nutrienti dal delta del Nilo si è ridotto. Le fioriture di plancton, e forse l’intera rete alimentare marina, hanno subito un grave dissesto, provocando un calo delle nascite di nuovi pesci. 

Disinteresse alla base del problema

Questo costante degrado è causato dal disinteresse verso il settore della pesca, ritenuto minore. Ad eccezione delle piccole comunità costiere, il resto dell’Europa non utilizza il Mediterraneo per la sua sopravvivenza. Ma non è sempre stato così. Il mare ha fatto da culla a più civiltà, ed ​​il pescato era importanti per le società più antiche. Bovini, pecore, capre erano tutti animali usati per i sacrifici nei rituali religiosi. Le rappresentazioni di questi sacrifici sono rimaste ovunque, documentate in testi, incisioni e monumenti. Il pesce però, occupava un posto importante nella società, più strettamente legato al quotidiano,

Dieta mediterranea originale ricca di pesce

Declino delle popolazioni ittiche

Negli ultimi 50 anni c’è stato un declino delle popolazioni ittiche. Prima della seconda guerra mondiale i pescatori locali su piccola scala, simili ai loro antichi omologhi, lavoravano principalmente nel Mediterraneo. Dal dopoguerra navi molto più grandi hanno cambiato il mondo della pesca. Questa pressione ha schiacciato il settore artigianale ed ha ridotto drasticamente gli stock. Mentre la pesca, in tutto il mondo, passa dalla gestione delle quote, nel Mediterraneo si basa ancora su metodi molto meno precisi. Le aperture e le chiusure stagionali e le dimensioni delle maglie delle reti, sono gli strumenti principali con cui vengono controllate le catture. 

Una visione ridotta

Ogni generazione successiva ha una visione ridotta di ciò che costituisce l’abbondanza. I ricordi del pescatore che poteva catturare 100 orate in un’ora, sono folli per il suo erede, che pensa che una giornata con 10 pesci sia andata alla grande. Il Mediterraneo viene ritenuto un mare povero, eppure sappiamo dagli storici romani che era molto popolato, ci sono testimonianze della presenza di molte balene grigie.  Segno che il mare era ricco, lo confermano anche gli squali che un tempo erano ovunque, ed ora stanno scomparendo. Per mantenerlo vivo, occorre attivare sistemi che lo rendano nuovamente molto pescoso.

Basta il solo turismo?

Le richieste dei paesi che si affacciano sul Mediterraneo sono mutate. I turisti desiderano mari blu, acque cristalline anche se senza pesci. Vogliono il luogo perfetto per bagnarsi e prendere il sole anche a costo di riempire le coste di cemento. Per un gradevole Souvenir di vacanze, e poco importa se non ci saranno più orate, saraghi, alici o pagelli. Le pressioni sulla UE, perché finanzi progetti ambientali che si prendano cura del Mediterraneo, è forte e costante. La speranza è che il Mediterraneo torni ad essere un punto di forza anche per la nostra dieta quotidiana. Più pesce “selvaggio” locale, non allevato e riempito di antibiotici, e meno pesce oceanico sulle nostre tavole. Dieta mediterranea originale ricca di pesce.

Dieta mediterranea originale ricca di pesce

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Una tazza o una bottiglia di tè come la preferite

Caldo, freddo, insaporito, aromatico, verde, tante variabili per trovare quello che ci piace.

Conosciamo abbastanza poco del , ne esistono talmente tante varianti che non basterebbe una vita per degustare le 1.500 tipologie conosciute. È la bevanda preferita in molte culture, sicuramente la più consumata al mondo. In Italia sono relativamente poche le tipologie che possiamo trovare nei supermercati. Quasi tutti a base di tè nero aromatizzato in modi differenti. Sui mercati internazionali esistono talmente tante varietà da perderci la testa. Agli italiani piacciono soprattutto i gusti più forti, con aromi decisi. Una tazza o una bottiglia di tè come la preferite

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Le regionalità influenzano

Curioso come il tè non venga apprezzato uniformemente in tutto il paese, anche in questo caso la regionalità porta differenza. A partire da una grande discriminante, caldo o freddo? Molti amano e associare il tè all’idea di qualcosa di caldo, e lo associano alle stagioni fredde. Mentre altri preferiscono il leggero brivido della bottiglietta o del contenitore fresco. Il gusto anglosassone per i tè decisi, ha fatto scuola anche in Italia. Anche le varietà fruttate o speziate sono quasi unicamente su base di tè nero. I timori che possa compromettere la nostra salute ha creato un grande spazio anche ai deteinati.

Come lo acquistate

Mentre per il tè caldo le bustine dominano le scelte dei nostri connazionali, per la versione fredda, c’è maggiore incertezza. In alcuni casi domina il preparato in bustina, in altri si predilige il prodotto già pronto in bottiglia. Nel tè freddo in bottiglia, la grande lotta tra aromatizzato al limone o alla pesca è sempre all’ordine del giorno. Va detto che il limone vince ovunque, anche se in alcuni casi quasi pareggia. Nella media nazionale il gusto limone resta indubbiamente il preferito. Ma c’è un terzo incomodo, il tè verde che si sta ritagliando buone quote di mercato e sembra il gusto in maggiore ascesa. Anche nelle versioni liofilizzate resiste il tè al limone, inseguito da pesca e verde. Importante anche in questo caso l’ascesa dei prodotti deteinati.

Una tazza o una bottiglia di tè come la preferite

Sostituto dell’acqua

Bevanda perfetta per accompagnare tutta la giornata, ha sostituito per molti la classica bottiglietta d’acqua. La grande varietà di aromatizzazioni consente di trovare quella che incontra il nostro gusto. Preferito dai giovani anche per il bassissimo o zero apporto di zuccheri, viene ritenuta una bevanda sostenibile ed etica, che incontra ed incoraggia anche valori ecologici. Da sottolineare i benefici che apporta all’organismo. Consumato da millenni come tonico, corroborante, antiossidante, ha dato vita ad una vera cultura che confina con la medicina vera e propria.

Tanti benefici

Cosa attiva il tè? Ha indubbi benefici per il nostro corpo e pochissime eccezioni. Contiene polifenoli ed ha ottime proprietà antiossidanti, antibatteriche antinfiammatorie e antivirali. Sono poche le possibilità che interferisca sulla nostra salute, anche se alcune cautele vanno prese nel consumo di tè verde in associazione ad alcuni medicinali. Meglio chiedere al medico se è consigliabile berne. Il tè purtroppo non funziona come cura per perdere peso, anche se alcuni lo teorizzano, in realtà è più semplice assumerlo amaro senza zucchero o dolcificanti, e per questo alcuni lo considerano ideale per accompagnare regimi specifici. Non tutti i deteinati sono veramente naturali, i solventi utilizzati sono il tallone d’Achille del processo. Aggiungere limone non ne esalta le positività ma migliora solo il gusto, se è il vostro preferito. Una tazza o una bottiglia di tè come la preferite

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Uovo di Pasqua come lo vorreste?

Gusti, preferenze e sorprese più gradite

L’uovo ha una ricca tradizione che si perde nei meandri della storia. Se li scambiavano come segno di pace e buoni rapporti di vicinato, le famiglie e le tribù che vivevano nell’attuale medio oriente, già alcuni millenni fa. Simbolo di rinascita e della primavera, ha continuato a mantenere quel messaggio fino a pochi secoli fa. Al tradizionale uovo di gallina, dipinto o meno che fosse, s’è sostituito il più pratico uovo di cioccolato, e con lui il rito della sorpresa contenuta all’interno. Uovo di Pasqua come lo vorreste

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Tanti brand a tema specifico

Ha perso un poco del suo fascino nel tempo, anche se si sono moltiplicati i brand che producono uova di cioccolato con sorpresa. Piacciono moltissimo ai bambini e ai giovanissimi che ne sono i principali destinatari. I brand hanno specializzato il loro prodotto proprio in funzione del tipo di dono, personalizzandolo con sorprese che sono maschili o femminili. Ogni linea è dedicata a personaggi cari ai più piccoli, ricalcando i fumetti, i giochi, i videogames, lo sport o i cartoni animati. La certezza di poter far trovare all’interno una sorpresa gradita, aiuta a scegliere l’uovo “giusto”.

Nonni e genitori i donatori

Essendo i figli e i nipoti i destinatari, sono i genitori e i nonni i più sensibili all’acquisto. Vista la situazione finanziaria dei minorenni, che raramente possono spendere per uova di cioccolato, sono gli over 65 a donare e questo crea una curiosa distorsione. Ovvero, gli italiani sono molto più propensi a regalare le uova, piuttosto che a riceverle. Fanno eccezione a questo trend nonno-nipote le uova pasquali donate come segno di riappacificazione o riconciliazione. Riceverle come simbolo di riallaccio di rapporti è graditissimo e molto piacevole.

Uovo di Pasqua come lo vorreste

Cosa vorreste trovare come sorpresa

Gli italiani sono generosi e col loro uovo vorrebbero regalare salute e buona sorte. Felicità e numeri del superenalotto vincenti, sono tra i sogni ad occhi aperti di chi riceve il dono. Curiosamente pochissimi desiderano oggetti preziosi, orologi o gioielli. Qualcuno vorrebbe trovare il numero di telefono dell’amore della vita ben custodito nel cioccolato. Altri vorrebbero   trovare l’invito a presentarsi ad un nuovo posto di lavoro garantito. Gli italiani sognano più affetti e stabilità rispetto a vistosi accessori, riflettendo i timori di perdere potere economico.

Pasqua legata alla pace

Sono parecchi gli italiani che delegano all’uovo pasquale la simbologia di rapporti amorevoli, ricomposti, ritrovati. Sognano di regalare uova a persone con cui i rapporti si sono interrotti o logorati per ricominciare a frequentarsi. Anche in questo caso sono le persone più anziane che vorrebbero riallacciare i rapporti con figli, familiari, amici, vicini con la scusa di condividere un uovo di cioccolato. D’altro canto quasi nessuno vorrebbe regalarlo a qualcuno che si frequenta sul posto di lavoro, boss in modo speciale, e alle suocere.

Gusto preferito

Vince decisamente il cioccolato fondente nell’immaginario, ma si scontra con il bisogno di regalare l’uovo di cioccolato soprattutto ai bambini. Di conseguenza si vorrebbe regalare fondente ma si ripara sul cioccolato al latte più gradito ai giovanissimi. Raro il cioccolato bianco. Ricercati ma costosi i prodotti di alta gamma che potremmo definire di pasticceria. Uovo di Pasqua come lo vorreste

Uovo di Pasqua come lo vorreste

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Quanta carne mangiare

Eco-sostenibili estremisti vegani come dovremmo comportarci per salvare il pianeta

Consumare meno prodotti animali sembra una delle soluzioni a cui molti tendono per migliorare la nostra impronta carbonica. Ma siamo carnivori da milioni di anni, con molte alterne fortune. Ridurre il consumo di carne sembra essere nell’elenco delle cose da fare assolutamente, per chi ha a cuore il futuro del pianeta, ma quanto ridurre? Un problema che ancora non trova risposte. Mentre la politica non riesce a trovare il bandolo della matassa sembra che la risposta sia delegata ai privati cittadini. Quanta carne mangiare

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Influenzare il mercato

Ognuno di noi può influenzare il mercato con le proprie scelte di consumi. I paesi occidentali stanno riducendo i consumi di carne, anche se in modo molto leggero. Ma questo non compensa la domanda che arriva dai paesi in evoluzione, la loro crescita economica passa spesso per un maggiore consumismo alimentare. Il consumo di proteine di origine animale segna anche una sorta di status. Culture basate, originariamente, su elementi vegetali, richiedono sempre maggiori percentuali di carni nei loro regimi alimentari.

Gas serra e domanda in aumento

I gas serra sono lo spauracchio che fa crescere l’impegno sociale. Una delle fonti maggiori di emissioni sono gli allevamenti di bestiame. Oltre il 14% del totale, più di quelle fornite da tutti i mezzi di trasporto a combustibili fossili, più di tutte le auto e i camion in tutto il pianeta. Numeri che da soli evidenziano il problema, ma che l’OMS  indica come ancora in crescita. La domanda di carne aumenterà ancora nel prossimo decennio, per scongiurare un disastro tutti coloro che hanno una sensibilità ecologica dovrebbero smettere di consumare proteine animali.

Quanta carne mangiare

Carni di origine sintetica

Il recente divieto di produrre carni di origine sintetica in Italia ha dato la stura a milioni di articoli. Il problema di poter trovare soluzioni alternative agli allevamenti di bestiame, cozza con culture alimentari millenarie. Ma il divieto non aiuta a trovare valide alternative e stronca sul nascere la ricerca scientifica. Il protezionismo tout-court non aiuterà un discorso di innovazione che il settore dovrà affrontare prima o poi. Una carne sintetica prodotta in vitro che potesse far risparmiare energia, acqua, suolo ed emissioni, probabilmente, non sarà mai paragonabile nel gusto ad una fiorentina, ma farebbe bene al pianeta. Pensare ad allevamenti di piccole dimensioni, per chi può investire in quel campo, potrebbe salvaguardare cultura alimentare e pianeta.

Ragionare su tempi lunghi

Il cambiamento climatico impone di ragionare su tempi lunghi, ma le decisioni vanno prese ora. Ridurre il numero di bovini, maiali, polli, ovini, ecc. in modo che tutti abbiano accesso alla carne alcune volte alla settimana, può diventare sostenibile. Un’agricoltura parzialmente animale, avrebbe un’impronta ambientale minore, rispetto ad un’agricoltura interamente vegana. A farne le spese sarebbe il ricco occidente che ha raggiunto livelli di consumi di proteine di origine animale molto alti. Vorrà farlo? 

Troppi mangimi per nutrirli

Per far sviluppare tutti gli animali che finiscono nelle nostre griglie e padelle dobbiamo produrre enormi quantità di mangimi. Sembrerebbe ragionevole che fossimo noi umani a nutrirci delle piante e dei cereali che utilizziamo come mangimi. Salteremmo un passaggio. Ma gli umani non possono digerire la cellulosa come fanno bovini e ovini, perciò è il corretto bilanciamento tra queste due agricolture a garantirci una migliore salute. Quasi il 40% della terra arabile del mondo serve per coltivare mangimi, con tutti le problematiche che arrecano. Il consumo di terreni, le deforestazioni, lo spreco di acqua, l’uso di pesticidi e fertilizzanti e l’ovvio incremento dell’impronta carbonica, sono fattori da considerare.

Quanta carne mangiare

Proteine necessarie e difficili da ottenere

D’altro canto se abbandonassimo completamente la carne avremmo bisogno di ancor più proteine di origine vegetale. Per nutrire tutta la popolazione dovremmo coltivare quasi il 30% in più di terreni, con ancor più bisogno di acqua, pesticidi fertilizzanti e sempre meno foreste. Una coperta decisamente corta. Livelli moderati di pascolo garantirebbero proteine e meno sfruttamento dei terreni. La carne fornisce proteine ​​e nutrienti che sono assai complicati da ottenere da una dieta esclusivamente vegana. Inoltre gli animali con i loro letami possono fertilizzare il suolo in modo più armonico rispetto ai fertilizzanti chimici. Per questo, il mondo sta meglio con un po’ di carne e latticini, che senza del tutto.

Eliminare o no gli allevamenti

Alcuni studi sostengono che non è necessario eliminare tutti gli allevamenti, basterebbe ridurli della metà, il che salverebbe gli allevatori e migliorerebbe la sostenibilità. Resterebbe ancora molta carne per tutti, paesi in espansione compresi. Se riducessimo il consumo ad una/due volte a settimana, le nostre diete migliorerebbero, e con esse anche la salute del pianeta. Restano le emissioni di gas serra su cui molti studi si stanno concentrando. Col riuso degli scarti alimentari, si possono ridurre le emissioni di metano dei bovini e dei suini. Questo però porta a valutare una diversa alimentazione per gli animali ed una diversa catena per il recupero dei rifiuti.

Un mondo senza allevamenti

Un’altra visione, invece, immagina un mondo senza allevamenti animali per recuperare rapidamente i livelli di CO2. Un’azione shock che sembra poco attuabile, anche se ha dalla sua la salute del pianeta, e perciò non può essere esclusa a priori. Le carni sintetiche prodotte in vitro, sarebbero la soluzione che più si avvicina a questa possibilità di eliminare gli allevamenti. Almeno per il periodo necessario ad impedire che i cambiamenti climatici, possano risultare senza speranza. Scelte da individuare ora per poter immaginare un futuro dove la carne contini ad arrivare a tavola anche se in percentuali ridotte. Quanta carne mangiare

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Imparare dai fallimenti

Un museo itinerante ci racconta grandi flop e le loro conseguenze.

La parola fallimento in Italia ha un significato molto negativo e lo associamo troppo spesso a situazioni che avranno conseguenze pessime. Non è così in molte altre realtà che hanno saputo farvi fronte e hanno trovato nuovi spunti ed energie. In Svezia dal 2017 esiste un museo itinerante particolare, dedicato proprio ai grandi fallimenti industriali, i grandi flop commerciali, i fiaschi come li definiremmo noi, dal punto di vista commerciale. Imparare dai fallimenti.

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Uno stimolo ad evolvere

Non si limita solo ad esporli per suscitare ilarità o riportare alla memoria brandelli di storie vintage. È uno stimolo ad apprendere ad evolvere. Quasi tutte le aziende rappresentate hanno fatto tesoro dei loro insuccessi, e incanalato maggiori energie nel creare nuovi prodotti. Il museo dei flop fa leva sul grado di accettazione dei propri errori e sulla possibilità di apprendere. Riuscire a ridurre il timore di sbagliare è uno dei mezzi con cui ci siamo evoluti, accettare che qualcosa possa andare male è il solo modo per progredire.

Molti marchi celebri

Sono presenti molti marchi celebri, che sono inciampati in prodotti che i consumatori non hanno apprezzato. Sono rimasti negli scaffali, non hanno dato una resa economica sufficiente per mantenerli in vita, e sono stati eliminati. Tra loro esempi illustri come Oreo, Coca-Cola, Pepsi, che però hanno proseguito nei loro percorsi, imparando dai loro errori. È catartico per molte persone scoprire che aziende così rinomate hanno fallito, se loro lo hanno fatto allora posso rischiare anch’io.

Imparare dai fallimenti

Una caccia al tesoro

Le grandi aziende tendono a far dimenticare rapidamente i loro errori, fanno sparire i prodotti di scarso appeal. Non vogliono nemmeno che vengano ricordati. Ma il curatore della mostra ha fatto una vera caccia al tesoro, andando a scovare questi insuccessi. A riprova che si può sbagliare e imparare, provare, riprovare, fino a trovare il bandolo e raggiungere il successo commerciale. Sbagliare aiuta a migliorare, a cambiare, a trovare una versione migliore di quello che proponiamo.

Molti esempi

La storia è molto ricca di esempi di fallimenti che si sono rivelati la chiave per trovare nuove direzioni. Il fallimento di solito non è così brutto o spaventoso come molti immaginano. Le conseguenze di un tentativo fallito potrebbero portare a grandi svolte, nuove visioni. Convogliare le energie in nuovi progetti che migliorino le performances dei fallimenti, sono lo stimolo corretto per arrivare al successo. È la filosofia con cui le start-up possono sviluppare le loro idee. Coi corretti timori di fallire, ma con la conoscenza che si può ricominciare e migliorare. Imparare dai fallimenti

Imparare dai fallimenti

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La carbonara è americana

Lo sostiene un articolo pubblicato sul quotidiano Financial Times.

Per fare uno scoop e vendere più copie, serve un titolo civetta, forse è questo lo scopo dell’articolo apparso sul Financial Times, che vuole ribaltare molte delle nostre conoscenze. A farne le spese è la nostra cultura culinaria che viene presa a pesci in faccia. Il grimaldello utilizzato, è un vecchio articolo di un docente dell’alimentazione di Parma. Decisamente lontano da quella che è la tradizione e la cultura italiana. La carbonara è americana

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Produttori e associazioni arrabbiati

Prese di posizione, anche molto severe, sono arrivate dai produttori e dalle associazioni di categoriaParmigiano Reggiano in testa, a difendere l’unicità e la veridicità del proprio prodotto. In una delle dichiarazioni pubblicate nell’articolo del F.T. il vero parmigiano sarebbe quello del Wisconsin. Strampalata considerazione, visto che le industrie casearie di quello stato sono celebri per i falsi. Sono tra le più presenti nelle aule dei tribunali, per aver copiato quasi ogni tipo di formaggio del globo. Li producono con denominazioni molto simili o addirittura coi nomi originali.

Ricetta originale immutata da secoli

Il Parmesan del Wisconsin a detta di Alberto Grandi sarebbe più vicino alla ricetta originale. Con forme di soli 10 chili rispetto a quelle attuali di circa 40 chili. Ma la ricetta nella sua semplicità (latte, caglio, sale) non può essere modificata. Viene ripetuta da almeno 800 anni e sono le abilità dei casari a render unico il formaggio. Stigmatizzare la crosta impressa a fuoco, vero simbolo del Parmigiano Reggiano attuale, perché un tempo le forme erano coperte da una crosta nera, sembra anacronistico.

La carbonara è americana

Un attacco alle tradizioni italiane

Incomprensibile l’attacco alla tradizione culinaria italiana, che il F.T. vuole portare, proprio ora che è stata presentata la candidatura a Patrimonio immateriale dell’umanità all’Unesco. Forse proprio la candidatura infastidisce qualcuno nel distretto economico-finanziario interessato al food & beverage. Prendersela con carbonara, panettone e tiramisù per svilire un intero settore sembra incauto. Soprattutto, sembra poco credibile

Carbonara Panettone Tiramisù

La barzelletta secondo la quale a inventare la carbonara sarebbero stati gli americani è veramente da tenersi la pancia per le risate. Così come attribuire una nascita recente a dolci celebri come panettone e tiramisù, è infondata. Potrebbe far sorridere e pensare all’articolo di colore acchiappa-click, ma mette in discussione uno dei settori trainanti della nostra bilancia commerciale. Aziende, maestranze e posti di lavoro vengono messi in gioco da una “boutade” giornalistica, che potrebbe portare a danni economici.

Danni d’immagine

Non crediamo che l’articolo riuscirà a far cambiare opinione a molte persone, ma forse sarebbe il caso di chiedere i danni d’immagine a chi specula con notizie molto discutibili o chiaramente false. Appoggiare anche solo per un minuto l’idea che il vero Parmigiano Reggiano possa essere quello del Wisconsin è da irresponsabili. Attendiamo conferme o smentite da parte del F.T. un quotidiano che ben conosce l’aspetto delle fake news divulgate in campo economico. La carbonara è americana

Credits: Consorzio Parmigiano Reggiano, Pixabay

Benessere, Enogastronomia

Pronti per il digiuno intermittente?

Un regime alimentare che trova molti sostenitori e che ha probabilmente radici religiose

 Se ne parla e legge molto, è un argomento che interessa parecchio anche perché ci avviciniamo al momento topico, la prova costume. Il desiderio di buttare giù qualche chilo si palesa a primavera. Tanto che i vari prodotti da banco, che troviamo in farmacia o al supermercato, hanno una definizione ben precisa. Li chiamano maggiolini, perché è a fine primavera che si corre ai ripari per un rapido snellimento. Invece di una dieta strampalata fatta in fretta e furia sarebbe meglio trovare altre soluzioni. Una di questa è il digiuno intermittente che offre diverse opzioni. Pronti per il digiuno intermittente?

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 Tre metodi tra i quali scegliere

Il digiuno alimentare intermittente è un regime che prevede di alternare momenti diversi in cui nutrirsi e in cui astenersi dal cibo. Se ne conoscono tre tipi, più o meno integralisti che prevedono giorni interi di digiuno a fasce orarie. Si può mangiare per 8 ore e astenersi per le restanti 16 ogni giorno. Oppure scegliere due giorni a settimana in cui abbassare l’apporto calorico (circa 500 calorie). Oppure scegliere uno o due giorni a settimana in cui digiunare completamente. Si può scegliere il metodo preferito che meglio si adatta ai propri ritmi di vita.

Dimagrire ma con qualche beneficio

I benefici del digiuno possono essere interessanti, perché non coinvolgono solo la diminuzione di peso, ma il benessere generale. Tra le indicazioni che i nutrizionisti e i dietologi hanno individuato c’è la riduzione della pressione sanguigna con relativo minor rischio di malattie cardiache. È un regime destinato a chi non ha particolari problemi e patologie, e che in ogni caso è bene fare sotto la supervisione di un medico. Non è un regime da mantenere tutta la vita, ma da buoni risultati se effettuato in periodi ristretti.

Non solo benefici

I detrattori del regime fanno notare come ci siano alcuni aspetti negativi che non tutti sono in grado di affrontare. È possibile che uno dei risultati sia un certo livello di stanchezza che mal si adatta con chi deve applicarsi nel lavoro e negli studi. La difficoltà di concentrazione può pesare sul nostro rendimento e farci perdere qualche colpo. Altra controindicazione, che però è usuale in quasi ogni regime dietetico drastico, è il livello di irritazione che sale parecchio. Sono cose con cui si può convivere, i problemi li facciamo venire a chi deve condividere spazi e tempi con noi.

Da dove deriva

Molte pratiche religiose, prevedono momenti di digiuno, a volte di preparazione a speciali eventi, a volte come momenti di espiazione. Tra i più celebri il ramadan che effettuano per un mese i seguaci dell’Islam, digiunando di giorno e mangiando di notte. Noto anche lo Yom Kippur tra gli ebrei. Questi sono digiuni generalizzati, che tutti praticano, ma in molte altre culture esistono digiuni singoli, per raggiungere gli spiriti o gli dei. I nativi americani, gli sciamani africani, lo praticano sovente, anche nel Buddhismo il digiuno è una pratica che apre la mente. Non sono da escludere i rituali legati alla sopravvivenza e alla scarsità di cibo. Anche il cristianesimo presenta diversi momenti di digiuno, come quello delle ceneri mentre nelle celebrazioni natalizie dell’est Europa, la vigilia è dedicata al digiuno. Pronti per il digiuno intermittente?

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La torta te la stampo in 3D

Un dolce disponibile con una semplice stampante pronto in pochi minuti.

Gettiamo altra benzina sulle preoccupazioni di tuti coloro che avversano le innovazioni. Le stampanti 3D stanno diventando relativamente popolari, ed il loro impiego è molto variegato. Ora un team di ricercatori ha spostato i limiti noti un poco oltre, utilizzando la tecnica in cucina. Una cheesecake ha preso forma grazie ad un mix di ingredienti che sono i classici elementi della ricetta tradizionale. La torta te la stampo in 3D

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Non tradizionale

Ciò che non è tradizionale è il metodo. Dopo aver acquistato gli ingredienti li hanno sminuzzati, riducendoli a forma liquida o semi solida per poter essere “iniettati” sul piano di lavoro e creare la torta. Sono serviti molti tentativi per trovare i giusti livelli di consistenza degli ingredienti, ma alla fine il risultato è stato eccellente. Non abbiamo potuto assaggiarla perciò ci limitiamo a giudicare l’aspetto esteriore. I ricercatori giurano che era buona, anche se differente, da quella cucinata da nonna, indubbiamente commestibile.

Sette ingredienti

La ricetta si basa su sette ingredienti: pasta di cracker Graham, burro di arachidi, marmellata di fragole, nutella, purea di banana, ciliegie candite e glassa. Sono stati tutti ridotti per poter essere contenuti nelle siringhe utilizzate dalla stampante. Le linee sottili degli ingredienti si sono sovrapposte, fino a creare la cheesecake. Unico escluso la base di crackers con burro e acqua, realizzata con un robot da cucina. L’intero processo è terminato in mezz’ora.

Lo avremo tutti

Sarà l’ennesimo elettrodomestico che tutti vorremo avere o resterà un curioso oggetto da dimenticare rapidamente? Sembra poco probabile che una stampante 3D diventi un “must” della nostra cucina, ma potrebbe interessare i locali pubblici per rinnovare costantemente le fette di torta nelle loro vetrinette. Anche la NASA sta studiando la possibilità di utilizzare questa tecnologia per i viaggi nello spazio. Già esistono carni, verdure e formaggio realizzati con le stampanti, mancavano i dolci, prossimo step la frutta.

Mancano i ricettari

Al momento la tecnologia esiste, gli ingredienti pure, ma mancano le ricette ed i trucchi per realizzarle, se volete creare una start-up apposita, avete campo libero. Non mancheranno i detrattori della nuova tecnologia, ma qualcuno potrebbe trovare soluzioni accattivanti che la renderanno ancor più semplice. Per gli igienisti potrebbe rivelarsi un vero toccasana, il cibo non verrebbe manipolato, e tutto si svolgerebbe nell’ambiente asettico in cui funziona la stampante 3D. La torta te la stampo in 3D

Credits: Jonathan BlutingerColumbia Ingegneria

Benessere, Enogastronomia, Marketing

Slow Food Coldiretti McDonald’s

Il cibo Made in Italy è una cosa seria e va difeso da operazioni commerciali che lo sviliscono

Una patina d’italianità, non basta per affermare che McDonald proponga cultura alimentare italiana. Slow Food nega che le dichiarazioni del presidente nazionale della Coldiretti, Ettore Prandini, abbiano un reale fondamento. La catena di fast-food più stereotipata del mondo, ha lanciato una nuova campagna “I’m lovin’ it Italy” (Mi piace Italia) con ingredienti italiani. Ma poche materie prime appartenenti alla tradizione culinaria italiana, non bastano. Questo è dare mano libera ad una catena di ristoranti che ha fatto della massificazione il suo credo. Se pensi a McDonald pensi al BigMac, la cosa più standardizzata possibile, lontana anni luce da una ristorazione d’eccellenza. Slow Food Coldiretti McDonald’s

Promuovere il vero cibo italiano

Sono altri i mezzi per promuovere il vero cibo italiano. Se si vuole dare visibilità e credibilità al nostro cibo, si deve tenere conto di tutta la storicità su cui si basa la nostra agricoltura. Un cibo “buono pulito e giusto” non può essere contrabbandato in una operazione commerciale. Puntiamo all’eccellenza produttiva, alla salvaguardia della biodiversità, alla protezione dell’agroalimentare di nicchia, mentre il messaggio che McDonald vuole promuovere non è esattamente quello corretto. Il made in Italy, passa per la sostenibilità, per la qualità, per il benessere economico dei produttori, per il benessere animale. Tutte situazioni che la catena internazionale non può fare proprie, per le scelte che sono alla base del suo business.

Slow Food non si sente rappresentata.

Mentre il presidente di Coldiretti promuove la catena come un mezzo per propagandare i nostri prodotti, Slow Food non si sente rappresentata da queste scelta e le critica. Dire che: “è partito come un fast food ma è diventato una catena di ristoranti che può, a tutti gli effetti, rappresentare l’italianità” è perlomeno incauto. La capacità di produrre in modo artigianale, con tutti i saperi che vengono da millenni di storia ed evoluzione della cultura enogastronomica italiana, non sono rispettati.

Lo storytelling scompare

Le colture con le corrette rotazioni, il rispetto dei terreni, la concimazione naturale, ed il ruolo del paesaggio, non violentato con coltivazioni impattanti, sono il simbolo dell’italianità. Le storie che i nostri agricoltori e trasformatori sanno raccontare, se vengono ficcate tra due fette di pane perdono tutto il loro fascino. Standardizzare, è quanto di più lontano esista dal modo di cucinare e presentare le nostre specialità. La smania di promuovere l’italianità ad ogni costo, può in questo modo svilire il concetto di made in Italy. Il traino commerciale di poter utilizzare ciò che italiano è enorme, ma bisogna guadagnarselo. Per tenere alto il valore di ciò che produciamo, non serve ridurlo a semplice operazione di marketing. Slow Food Coldiretti McDonald’s