Abitare, Benessere, Viaggi

Esportare la felicità finlandese

Puoi partecipare ad una “Masterclass di felicità” di 4 giorni in Finlandia

La Finlandia si è classificata come nazione più felice del mondo per il quinto anno consecutivo. Oramai è un fatto consolidato e anche se molti sollevano un sopracciglio pensando al grande numero di suicidi ed alla piaga dell’alcoolismo, è indubbiamente vero. Ma i finlandesi non sono “avari” e vogliono condividere questo atteggiamento. Misurare la felicità è complicato, forse il miglior modo per comprendere di cosa si tratta è viverla personalmente. Esportare la felicità finlandese

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Visit Finland

Visit Finland è l’ufficio turistico nazionale ed è fa promotore di questa opportunità. Mette a disposizione di 10 persone una “masterclass” che si terrà al Kuru Resort. Il seminario avverrà dal 12 al 15 giugno e svelerà i segreti di questo buonumore nazionale. Come mai i poco più di 5 milioni di abitanti sono cosi appagati? Le spiegazioni non sono semplici perché sono frutto di molte “contaminazioni o coincidenze”. Innanzitutto la sobrietà con cui affrontare la vita, l’essere saldamente predisposti a tenere i piedi a terra. Il contatto con la natura, facilitato dall’enorme territorio e dalla scarsa popolazione. Cibo e benessere, e uno stato che è veramente al fianco dei cittadini.

Equilibrati e pacati

I finlandesi vogliono condividere la loro pacatezza. Sono celebri per non essere vistosi conversatori, prendono le cose con la giusta calma e questo rimuove molto stress. I parametri che misurano la felicità sono 6: PIL, aspettativa di vita, generosità, sostegno sociale, libertà e corruzione. Il report sulla felicità mondiale lo calcolano grazie a sondaggi internazionali che interessano oltre 150 paesi. Il nord Europa domina le prime posizioni della classifica. Paesi, anche molto solidi economicamente, invece, si classificano in posizioni intermedie o basse. Gli Stati Uniti ad esempio sono solo al 16° posto, mentre l’Italia è al 33°.

Esportare la felicità finlandese

La politica ha una grande importanza

Il sostegno sociale, la generosità reciproca e l’onestà nel governo, sono fondamentali per il benessere. Questo è uno dei postulati della scala Cantril utilizzata per la misurazione. I nostri politici dovrebbero prestare attenzione e dare esempio della loro qualità del buon vivere. Dovrebbero essere attenti al benessere dei cittadini e non alla distribuzione del potere a parenti ed amici. Proprio per questo la classifica ci relega in posizioni molto lontane dalla vetta.

Candidarsi on line

Chi vuole candidarsi onIine lo può fare antro il 2 aprile. Basta riempire un semplice modulo e pochi altri passaggi con la creazione di contenuti da condividere in rete sui social media.  Il tema è quello di dimostrare l’aspirazione a svelare la propria “finlandesità interiore” e la motivazione per partecipare al seminario. Per tutti coloro che non potranno vincere il soggiorno, c’è la possibilità di assistere alla masterclass online. Condividere lo stato d’animo interiore finlandese potrebbe essere il modo di raggiungere nuovi vertici di felicità. Sul sito di Visit Finland trovate tutti i dettagli. Esportare la felicità finlandese

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Credits:Pixabay e samihatonen

Benessere, Enogastronomia, Marketing

Slow Food Coldiretti McDonald’s

Il cibo Made in Italy è una cosa seria e va difeso da operazioni commerciali che lo sviliscono

Una patina d’italianità, non basta per affermare che McDonald proponga cultura alimentare italiana. Slow Food nega che le dichiarazioni del presidente nazionale della Coldiretti, Ettore Prandini, abbiano un reale fondamento. La catena di fast-food più stereotipata del mondo, ha lanciato una nuova campagna “I’m lovin’ it Italy” (Mi piace Italia) con ingredienti italiani. Ma poche materie prime appartenenti alla tradizione culinaria italiana, non bastano. Questo è dare mano libera ad una catena di ristoranti che ha fatto della massificazione il suo credo. Se pensi a McDonald pensi al BigMac, la cosa più standardizzata possibile, lontana anni luce da una ristorazione d’eccellenza. Slow Food Coldiretti McDonald’s

Promuovere il vero cibo italiano

Sono altri i mezzi per promuovere il vero cibo italiano. Se si vuole dare visibilità e credibilità al nostro cibo, si deve tenere conto di tutta la storicità su cui si basa la nostra agricoltura. Un cibo “buono pulito e giusto” non può essere contrabbandato in una operazione commerciale. Puntiamo all’eccellenza produttiva, alla salvaguardia della biodiversità, alla protezione dell’agroalimentare di nicchia, mentre il messaggio che McDonald vuole promuovere non è esattamente quello corretto. Il made in Italy, passa per la sostenibilità, per la qualità, per il benessere economico dei produttori, per il benessere animale. Tutte situazioni che la catena internazionale non può fare proprie, per le scelte che sono alla base del suo business.

Slow Food non si sente rappresentata.

Mentre il presidente di Coldiretti promuove la catena come un mezzo per propagandare i nostri prodotti, Slow Food non si sente rappresentata da queste scelta e le critica. Dire che: “è partito come un fast food ma è diventato una catena di ristoranti che può, a tutti gli effetti, rappresentare l’italianità” è perlomeno incauto. La capacità di produrre in modo artigianale, con tutti i saperi che vengono da millenni di storia ed evoluzione della cultura enogastronomica italiana, non sono rispettati.

Lo storytelling scompare

Le colture con le corrette rotazioni, il rispetto dei terreni, la concimazione naturale, ed il ruolo del paesaggio, non violentato con coltivazioni impattanti, sono il simbolo dell’italianità. Le storie che i nostri agricoltori e trasformatori sanno raccontare, se vengono ficcate tra due fette di pane perdono tutto il loro fascino. Standardizzare, è quanto di più lontano esista dal modo di cucinare e presentare le nostre specialità. La smania di promuovere l’italianità ad ogni costo, può in questo modo svilire il concetto di made in Italy. Il traino commerciale di poter utilizzare ciò che italiano è enorme, ma bisogna guadagnarselo. Per tenere alto il valore di ciò che produciamo, non serve ridurlo a semplice operazione di marketing. Slow Food Coldiretti McDonald’s

Benessere, Enogastronomia

La felicità e il buon sonno arrivano dal cibo

Cosa mangiamo più volentieri e qualche piccolo segreto per dormire con gli angeli

Oggi, 20 marzo si celebra la Giornata Internazionale della Felicità. Il cibo ha un ruolo importante per il nostro umore e voglia di affrontare il mondo. Una corretta e regolare alimentazione contribuisce a farci sentire felici. Cosa dobbiamo mangiare per sentirci ancora più felici? Il cibo ha una forte influenza sul nostro umore, perché è proprio dagli alimenti che estraiamo gli elementi chimici e le sostanze che ci fanno sorridere. Sono neurotrasmettitori e sono noti da tempo. Hanno nomi difficili da ricordare ma sono semplici da utilizzare. Il nostro sistema nervoso si “appropria di questi elementi” e li trasforma in serotonina, dopamina e noradrenalina. La felicità e il buon sonno arrivano dal cibo

Serotonina scatenante

La serotonina ha il piacevolissimo ruolo di farci sentire bene e donarci come dice la radice dal nome, serenità. Per attivarla servono alcuni alimenti che non dovrebbero mai mancare. Agiscono sul triptofano che in seguito diventerà serotonina. Tutti conoscono i benefici della teobromina contenuta nel cioccolato, pochi sanno che è presente anche nel te e con la caffeina partecipa come eccitante al nostro buon umore. Pesce azzurro, formaggi, rosso d’uovo, carni bianche di pollo e tacchino ma soprattutto mandorle ed arachidi sono grandi stimolatori del triptofano. Perciò mangiare le mandorle e le arachidi, che ci vengono spesso servite nelle happy hour, contribuisce alla nostra felicità. I dietologi hanno qualche riserva su ciò che beviamo in quelle evenienze, ma noi fingiamo di non accorgercene.

La felicità e il buon sonno arrivano dal cibo

Semi di chia

I semi di chia come del resto il pesce azzurro e l’olio d’oliva sono ricchi di Omega3 e funzionano come un lazo per “acchiappare” la serotonina. Anche i legumi partecipano a questa caccia grazie all’acido folico che contengono. Se soffrite di stress, cercate di ridurlo con il magnesio, che trovate nei legumi, nei cereali, meglio se integrali, o nelle carni bianche e nelle verdure. Senza mai dimenticare l’ospite principale ovvero il cioccolato, ma senza strafare. Troppa serotonina ed eccitazione potrebbero influenzare male il nostro sonno.

Troppo poco sonno

Gli italiani dormono troppo poco e lo fanno in modo insoddisfacente, questo cambia il nostro umore e ci allontana dalla felicità. È ancora la serotonina a venire utilizzata, quando ci corichiamo il nostro cervello la trasforma in melatonina, l’ormone che ci porta a dormire bene. Ci sono piccoli segreti che possono aiutarci ad avere un corretto apporto in calorie, nei tempi giusti per favorire la digestione. Ecco un breve elenco frutto di un mix di saggezza popolare e dettami sanitari per portarci ad un sonno gradevole ed appagante.

Cena leggera

Cene leggere che non ci obblighino a restare svegli per smaltire ciò che abbiamo inserito nello stomaco. Cerchiamo di stare lontani dagli eccessi di grassi (ah i fritti) e pianifichiamo la cena in modo di far passare almeno 2 ore prima di metterci in orizzontale. Cominciare la giornata con una buona colazione, che sia energetica ed appagante, per rimettere in funzione il nostro organismo. Dobbiamo bere acqua, spremute, succhi di frutta, latte per reintegrare i liquidi persi la notte precedente. Cerchiamo i cibi ricchi di triptofano, uova, formaggio, carni bianche, legumi, cereali, ecc. I formaggi apportano calcio, che ha un vago aspetto calmante e può aiutare nell’assopirci. Evitiamo di negarci il pane, gli amidi sono benvenuti. Ridurre il caffè e il te a partire dal pomeriggio. Meglio non abbuffarsi troppo di cioccolato, anche se si è tristi o depressi, ne basta poco per stare meglio. Idem con l’alcool, una saggia morigeratezza aiuta ad essere felici senza creare problemi, ed in ogni caso l’alcool non annega mai i guai. La felicità e il buon sonno arrivano dal cibo

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Berreste un vino senza etichetta?

Sembra una provocazione ma ha una sua solida ed etica praticità

Una casa vinicola australiana sta sperimentando una soluzione minimalista che riguarda tutta la catena del packaging del vino. Invece di puntare su etichette che colpiscano occhio e fantasia le ha ridotte ai minimi termini. Tutto è condensato sul tappo. Una soluzione che è applicabile solo con un tappo a vite, che offre una superficie stampabile maggiore del tappo di sughero. La capsula che ricopre gabbietta e sughero normalmente, non potrebbe funzionare, perché una volta aperta, la bottiglia diverrebbe completamente anonima. Berreste un vino senza etichetta?

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Avere tutto sul tappo

Avere tutte le indicazioni di legge è invece possibile se il tappo è a vite. Soluzione che in Europa non è gradita per motivi di storia, tradizione ed abitudine. Il tappo a vite consente di ridurre l’impatto ambientale e rendere più sostenibile la catena dell’imballaggio. Nessuna etichetta tradizionale, quindi niente carta, niente colori, niente stampa e nessun collante. Molta sobrietà nel progetto australiano, che prevede di riportare sul tappo ogni informazione necessaria.

Dove come quando perché

Si possono ricavare tutte le informazioni necessarie direttamente sulla sommità della bottiglia, che così rimane “nuda”. Logo, marchio, uve, località, annata sono tutte presenti e leggibili, e se si vuole approfondire un pratico QR Code consente di viaggiare in rete. Oltre alla praticità delle informazioni condensate in cima alla bottiglia, Crate contribuisce alla sostenibilità anche con l’imballo. I box sono realizzati con carta riciclata e recano il claim: “Il nostro pianeta conta più del nostro imballaggio”.

berreste un vino senza etichetta

Anche il vetro è etico

Proviene da bottiglie riciclate il vetro utilizzato per imbottigliarlo. Inoltre il vino viene venduto solo a casse, in modo da ridurre il peso dell’impronta carbonica legata ai trasporti. Il vino è frutto di un accordo tra piccole aziende che reinvestono i ricavi nelle loro aziende e favoriscono l’economia locale. Una summa di azioni etiche che va nella direzione di fare impresa in modo sostenibile e che favorisce la salute del pianeta.

Potrebbe funzionare

Potrebbe funzionare anche qui, ma nutriamo forti dubbi. Mentre le varie strutture agricole nazionali si accapigliano per decidere se le eventuali etichette di pericolosità verranno approvate, l’Australia ha dato una indicazione molto precisa. Il futuro potrebbe passare proprio dalla miniaturizzazione delle indicazioni in bottiglia. Intanto Crate, prodotto da Fourth Wave Wines di Charleston, nel Nuovo Galles del Sud, ha spiazzato tutti. Altre direzioni a cui si rivolgono le aziende vinicole sono i contenitori in alluminio, sinora destinati ai vini senz’alcool o alle bibite energetiche.

Riuso

Gli imballaggi che possano facilitare il riuso sono studiati con attenzione. La consegna dei vuoti dietro cauzione, sta diventando una realtà, così come l’eventualità di poter fare il refill. Ogni azione volta a contenere l’impatto ambientale, viene sezionata in tutti i pro e contro. Il mondo del vino, anche se sembra legato a un passato millenario, molto codificato, è in evoluzione. Vedremo quale direzione prenderà, ma temiamo che non torneremo al consumo direttamente dalle anfore. Berreste un vino senza etichetta?

Credits: Crate, Fourth Wave Wines

Abitare, Enogastronomia, Marketing

Coca-Cola Capolavoro un nuovo limite pubblicitario

Opere d’arte e dipinti celebri partecipano e si animano per diffondere il celebre marchio di Atlanta

Abbiamo valicato un altro limite nell’advertising? Le opere d’arte da apici culturali, diventano mezzi di promozione per bevande gassate. La scenografia dello spot parte da un museo dove uno studente svagato ed assonnato non riesce a dare il suo contributo scolastico. Quasi si appisola e lascia vagare i pensieri, mentre le opere d’arte per venirgli in soccorso prendono vita. Una mano di Aket “ruba” una bottiglietta di Coca-Cola da un’opera di Andy Warhol e la fa “volare” di tela in tela. Coca-Cola Capolavoro un nuovo limite pubblicitario

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Una visita molto personale

Un viaggio surreale che coinvolge molti capolavori passando dal “Grido” di Munch alla “stanza di Arles” di Van Gogh. Dopo molti altri passaggi, lanci e prese, giunge fino alle mani della celebre “Ragazza con l’orecchino di perla” di Vermeer. Sarà proprio lei a stappare la bottiglietta e ad offrirla allo studente, con uno sfrontato occhiolino. Lo studente, stimolato dalle bollicine, diventa improvvisamente produttivo, e porta a termine il suo lavoro sotto l’occhio della sua insegnante.

Un’altra polemica accesa

Proprio la Ragazza con l’orecchino di perla è al centro di un’altra polemica artistica. Il dipinto è parte di una mostra dedicata a Vermeer al Rijksmuseum di Amsterdam. Per celebrare l’evento molti artisti sono stati invitati a reinterpretare il dipinto con qualsiasi tecnica. La sorpresa finale è che il contest, lo ha vinto un autore che ha utilizzato la AI per dare vita alla sua interpretazione. Il vespaio susseguente è tutto incentrato sull’uso dell’intelligenza artificiale in un contesto artistico, e non sembra destinato a placarsi rapidamente.

Coca-Cola Capolavoro un nuovo limite pubblicitario

Cosciente del limite

Coca-Cola ha compreso a quali rischi andava incontro con l’utilizzo di queste opere, molte delle quali assai celebri ed iconiche. Ha sviluppato una pagina apposita nel suo sito dove poter consultare le opere nella loro integrità, e conoscere un poco di storia dell’arte. Ha anche postato interviste di alcuni degli artisti viventi, per rendere più attrattivo il sito. L’invito è ad approfondire e non a cogliere solo l’aspetto immediato dell’arte, che si anima solo per pochi secondi nello spot. Uno sforzo culturale inatteso, da parte di un’azienda molto più attenta all’essere che al divenire. Min Chen di Artnet ha commentato: La loro campagna sembra dire; Se non puoi batterli cooptali“.

Un gioco a scoprire

La campagna Capolavoro potrebbe divenire una specie di gioco per scoprire a chi appartengono tutte le opere. In questo modo il valore culturale supererebbe quello commerciale dello spot. È sicuramente un modo diverso per promuovere un prodotto, anche se è corretto far notare che recentemente le opere d’arte sono molto presenti nelle pubblicità. Non tutti gli artisti sono felici di queste “intrusioni”, ma molti sono defunti e le aziende dopo aver pagato i diritti, sono liberi di utilizzare le opere. Le animazioni dello spot sono di alta qualità, creano un effetto attrattivo, ma è giusto che ognuno guardi il video e giudichi da solo. Coca-Cola Capolavoro un nuovo limite pubblicitario

Credits: Coca-Cola

Abitare, Benessere, Viaggi

Yakutsk la città più fredda del mondo

Le temperature invernali a Yakutsk sono arrivate ben altre i -40 C per diversi giorni

Dici Russia, Siberia e immediatamente pensi “cavolo che freddo!” Come fanno a vivere lì? Bella domanda, che i locali non si pongono più. Hanno un’esperienza secolare di come sopravvivere al grande freddo siberiano ma stavolta qualcosa di diverso è successo. Le temperature sono arrivate molto al di sotto di quelle usuali, e stanno creando problemi. A Yakutsk, nella provincia di Sakha arrivare a -20 è considerato normalissimo. Ma occorre usare molti accorgimenti se si vogliono evitare guai. Arrivare a -40 è inusuale anche a queste latitudini, dove l’abbigliamento di norma è composto da un numero di strati difficile da immaginare. L’effetto cipolla è garantito, e per i più pruriginosi, immaginare di spogliare qualcuno/a per arrivare fino alla pelle nuda è una vera impresa. Yakutsk la città più fredda del mondo

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Un abbigliamento consono

Serve un abbigliamento consono fatto di molti strati di vestiti, sciarpe, guanti, berretti, cagul, colbacchi e creme grasse. Le creme servono perché se si esce, è bene ricordare che il freddo anestetizza la pelle e se non la si protegge la congelerà. Nemmeno un centimetro deve essere esposto al naturale. Tra l’altro c’è pure poca possibilità di vedere, a causa di una nebbia ghiacciata che impedisce all’aria calda di salire. Una fastidiosa nebbia che accompagna tutta la giornata, ovattando tutto e inghiottendo il paesaggio. Come colonna sonora avrete il rumore di fondo dei motori delle auto che sono in funzione giorno e notte, per impedire che i motori vadano in blocco e si spacchino. Nessun olio e nessun antigelo riesce a proteggerli.

Yakutsk la città più fredda del mondo

Un atteggiamento stoico

Chi vive qui ha un atteggiamento stoico. Dicono “se vuoi vivere qui devi adattarti e non badarci troppo. Fa freddo ma è più un atteggiamento mentale, una volta che lo hai compreso non lo senti più. È così e basta, il freddo è ovunque, inutile sprecare energie”. A vedere alcuni di loro sembra veramente che potrebbero pure uscire a petto nudo a -40. Non battono un ciglio, mentre noi ci contorciamo dal freddo e cerchiamo di riscaldarci fregandoci le braccia, loro restano immobili. Probabilmente hanno ragione loro, consumare energie con questo freddo mostruoso è perfettamente inutile.

Perché vivono qui

La città non offre granché, perciò ci si chiede cosa li trattenga qui. Sono gli stipendi, Yakutsk è una città mineraria ed ha bisogno di forza lavoro, perciò è possibile guadagnare molto più che in altre località. Gli stipendi sono alti e compensano dalle difficoltà create dal freddo eccessivo. Le possibilità di spenderli sono poche, perciò lavorare qui per pochi anni consente di risparmiare per poi trasferirsi in aree più miti. La vastissima Siberia è decisamente poco ospitale, ma nel sottosuolo ha ricchezze inestimabili. Le materie prime sono ciò su cui punta Putin per mantenere il proprio esercito in guerra. La Russia, non è una nazione di trasformazione, i suoi prodotti sono poco appetibili, perciò basa la sua economia sulle risorse minerarie ed energetiche. Ora che gas e petrolio non possono contare sul mercato europeo i minerali diventano ancora più importanti.

Yakutsk la città più fredda del mondo

La curiosità e l’incoscienza

Qui arrivano anche turisti che vogliono sfidare il freddo e se stessi. Una sorta di turismo estremo per scoprire il proprio grado di sopportazione o di incoscienza. I danni da congelamento per chi non è strutturato e preparato possono essere molto seri. Ma l’avventura come sempre attrae, è nell’animo umano tentare di esplorare i propri limiti. Aver visitato, anche se solo per poche ore o giorni, la città più fredda, fa curriculum per chi ama osare.

Scienziati al lavoro

Il permafrost è la base su cui è costruita la cittadina. Il terreno resta ghiacciato tutto l’anno ma il riscaldamento climatico è arrivato anche qui, nonostante il gran freddo di quest’anno. Il ghiaccio che si scioglie trasforma tutto in un gran pantano fangoso che svela i suoi segreti. Qui sono stati svelati molti dei segreti del mammuth lanoso grazie ai reperti scongelati. Gli scienziati stanno facendo ricerche e quasi ogni giorno rintracciano altri resti. Qui sorge il museo dei Mammuth, una struttura unica nel genere, una galleria sotterranea mostra i fossili nella collocazione originaria. Ovviamente tutto rigorosamente sotto zero.

Palafitte e instabilità

Il permafrost costringe a vivere in costruzioni che sono moderne palafitte. Il terreno cede improvvisamente a causa del disgelo e le case non godono di una perfetta stabilità come potete immaginare. Le fondamenta se ne vanno e con loro scivola pura l’abitazione. Se amata il bricolage potrete trovare interessante visitare i garages e le cantine dei residenti. Scoprirete che tra gli attrezzi necessari, come lime, trapani, martelli e cacciaviti, potrebbero esserci lanciafiamme e pistole spararazzi. Ciò che serve se resti in panne con l’auto e per farti trovare in pochi minuti, prima di diventare a tua volta un reperto congelato. Yakutsk la città più fredda del mondo

Yakutsk la città più fredda del mondo

Credits: Pixabay

Abitare, Eventi

Il narvalo solitario adottato dai beluga

Lo monitorano da anni ed ora sta arrivando alla maturità sessuale.

I biologi marini continuano a seguire le evoluzioni del branco di balene beluga che ha adottato un cucciolo di narvalo. Tutto sta procedendo regolarmente, il branco lo ha accettato e lo protegge dagli attacchi di orche e squali. Una convivenza molto tranquilla ma che potrebbe cambiare col raggiungimento della maturità sessuale. Se il narvalo si accoppiasse con i beluga potrebbe dare vita a cuccioli Narluga. Un evento rarissimo, ma che è già accaduto. Il narvalo solitario adottato dai beluga

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Ibridazione possibile

L’ibridazione tra animali che appartengono alla stessa specie è possibile anche se non avviene spesso. Il grande dubbio è il Narluga potrebbe essere fertile e riuscire a riprodursi? In natura esistono casi che vanno in direzioni opposte. Tra gli equini l’unione di cavalli e asini produce muli o bardotti, entrambi sterili, mentre leone e tigre possono produrre il ligre che è fertile.

Approcci amorosi

Sia beluga che narvali appartengono alla famiglia dei Monodontidae, hanno molto in comune, ma metodi diversi di comunicare. Le balene beluga emettono dei vocalizzi che probabilmente il narvalo non riesce ad intendere. In ogni caso l’affiatamento sinora è molto buono. Il gruppo di balene viene monitorato tramite droni, e tutto fa sperare che possa completarsi il ciclo vitale e riproduttivo. Il narvalo è maschio e potrebbe avvicinare una femmina di beluga.

Corteggiamenti diversi

A quasi 12 anni d’età il narvalo sta arrivando nella fase riproduttiva. Le tecniche di seduzione tra i beluga sono frutto di un patto corale. I maschi vivono in un branco, le femmine in un altro dove possono proteggere i cuccioli. I maschi raggiungono una sorta di accordo, un’alleanza per poter corteggiare le femmine. Quale sarà il rituale corretto? Il narvalo riuscirà ad interagire in modo corretto ed accoppiarsi? Sono le grandi domande che si pongono i biologi marini.

Se dovesse avere successo

Se la seduzione dovesse avere successo, servirà tempo per scoprire se il cucciolo sarà veramente un Narluga. Le due specie vivono in aree diverse, i narvali possono restare per molti mesi anche nella zona dei ghiacci artici. Le balene beluga preferiscono scendere più a sud, in natura raramente s’incontrano e non interagiscono. Il narvalo solitario probabilmente s’è smarrito o è riuscito a sfuggire a qualche predatore, spingendosi fuori dalla sua zona. Il gruppo di balene beluga lo ha adottato alla foce del fiume San Lorenzo in Canada. Convivono bene svolgendo le tipiche attività assieme come se facessero parte da sempre dello stesso branco.

Un esempio negli anni ‘80

Un cacciatore Inuit ha conservato il cranio di uno strano cetaceo che aveva cacciato in Groenlandia negli anni ’80. Aveva mini zanne sulla mascella superiore mentre i denti inferiori sembravano cavatappi. Il DNA ha confermato che era un ibrido di Narluga. Forse la possibilità di convivere e mescolarsi è alla base di questa adozione. A fine primavera il branco tornerà nel luogo preferito sul san Lorenzo e finalmente sarà possibile avere altre informazioni. Il narvalo solitario adottato dai beluga

Il narvalo solitario adottato dai beluga

credits: Pixabay

Benessere, Enogastronomia

Menu di impatto climatico.

Se ne parla da un po’ e potrebbero aiutare a creare le condizioni per migliorare il cambiamento climatico

Cambiare il modo in cui mangiamo grazie alle informazioni che riceviamo in etichetta o sul menu. Una rivoluzione gentile che fa leva sulla predisposizione del cliente a scelte etiche e vantaggiose per il futuro del pianeta. Se ogni ristorante riportasse a menu l’impronta carbonica di ciò che propone, potrebbe “educare” a scelte migliori? Per sperimentare l’efficacia delle etichette di impatto climatico hanno coinvolto alcuni fast food. Menu di impatto climatico

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Menù con vario impatto

In alcuni fast food statunitensi sono stati offerti in visione dei menu “alternativi”. Ai clienti oltre alla loro reale ordinazione, è stato richiesto di provare ad ordinare un pasto maggiormente sostenibile. A farne le spese è stata soprattutto la carne di manzo, l’ingrediente principe dei fast food. Proprio perché la carne bovina, che ha uno dei peggiori impatti, era ben segnalata. È un ingrediente molto dispendioso da produrre, e con evidenti problemi di emissioni di gas serra. Due terzi delle emissioni globali, infatti, sono legati agli allevamenti bovini.

Sostituire con qualcosa meno problematico

Sostituire il proprio hamburger con qualcosa di minore impatto, come carne di pollo o vegetariano sarebbe un buon passo nella giusta direzione. Maggiore rispetto per la Terra a partire da quello che portiamo nel nostro piatto. Per simulare questa capacità di scelta hanno offerto ai clienti, menu colorati che offrivano maggiori informazioni sull’impronta carbonica del loro pasto. Scoraggiare le opzioni meno sostenibili, era il modo migliore per arrivare a far cambiare gli ordini ai commensali. Chi aveva accesso a maggiori informazioni sull’alto impatto climatico, sceglievano le opzioni che escludevano il manzo.

Menu di impatto climatico

Più ecologici

I commensali hanno effettuato scelte più ecologiche, in quanto nei menu erano evidenziati i piatti con basso impatto climatico, come pesce, pollo, o vegetariani. Una conferma di ciò che gli esperti immaginavano potesse accadere, nel caso delle cosiddette cornici negative. I prodotti segnalati con una cornice colorata che faceva rilevare un aspetto negativo, come “ricco di grassi o di zuccheri”, otteneva più attenzione. Questo rimarca l’importanza delle note che riportano un impatto climatico elevato. In un ambito come quello dei fast food può rappresentare un’efficace spinta a scelte alimentari più positive.

Un passo alla volta

Il sogno non è arrivare a mangiare insetti, carotine o alghe tutti quanti ed ogni giorno. Ma fare un piccolo passo nella direzione corretta. Diminuire l’apporto di carni rosse, privilegiando altri alimenti. Una revisione dei nostri regimi alimentari, anche se in minima parte, può dare risultati importanti.  Scegliere di mangiare meno carne rossa avrà effetti positivi non solo per il pianeta, ma anche per la salute. Non esiste un toccasana immediato, inoltre il cibo servito in fast food non è, probabilmente, la miglior scelta possibile. Perché anche la scelta più corretta, non costituisce un’alimentazione davvero sana.

Etichette vantaggiose

Creare etichettatura vantaggiose per i consumatori, è lo step necessario per arrivare a scelte più sostenibili e salutari. L’esempio tracciato ha trovato degli emulatori, una catena inglese, la Wahaca, elenca nei suoi menù l’impronta carbonica dei piatti. La speranza è che non rimanga un’esperienza di una sola catena, ma diventi pratica comune. Il bisogno di rispettare l’ambiente e salvaguardare il pianeta è sempre più impellente. Ogni tentativo per formare una mentalità più sostenibile è benvenuto. Menu di impatto climatico

Menu di impatto climatico
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Insetti facciamo chiarezza

Sono almeno 20 anni che si parla delle proteine da insetti

Alimenti a base di insetti, molto nutrienti e alternativi ad altre fonti proteiche sono all’ordine del giorno da almeno un ventennio. Almeno sulla stampa specializzata, ma in Italia il tema sembra nato ieri. Con alzate di scudi e prese di posizioni politiche imbarazzanti. Sullo sfondo una notevole ignoranza sull’argomento, ed un tentativo di creare un tema che ne facesse dimenticare molti altri. Le decisioni della UE di sdoganare una sola farina di insetti, ha creato uno zibaldone di voci, non necessarie, che riguarda tutti i tipi di insetti. Insetti facciamo chiarezza

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Costi inferiori e facilità di allevamento

L’allarmismo cavalcato da certa stampa ha creato una barriera ad una discussione concreta e chiara. Il problema è reperire proteine a basso costo, alternative e meno impattanti, rispetto a quelle animali. Il numero crescente di esseri umani sul pianeta, crea nuove condizioni ed esigenze alimentari. Impensabile disboscare altri milioni di ettari per allevamenti di bovini, suini, pollame. La richiesta di cibo sarà in espansione, probabilmente farà lievitare i prezzi delle proteine. Una soluzione che comprenda proteine da insetti non è facile da gestire a causa dei molti pregiudizi presenti.

Solo se economicamente vantaggioso

Cibarsi di proteine provenienti da insetti, ha senso solo se economicamente vantaggioso. Al momento i costi di produzione non sono competitivi, se volessimo introdurre nei nostri prodotti, proteine da insetti, non saremmo pronti. Al momento siamo nel livello “curiosità” da soddisfare, decisamente lontani da un impiego massiccio. L’impatto ecologico non è ancora stato valutato, le emissioni di gas sono sicuramente inferiori, ma c’è da valutare se resterebbero basse anche a fronte di impianti di grandi dimensioni. L’impressione è che nel confronto con gli allevamenti animali estensivi, la riduzione di spazi occupati, sarebbe già un enorme vantaggio.

Sicurezza alimentare

Non esiste ancora una letteratura sufficiente a chiarire se possano esistere problematiche di tipo sanitario. Qualcuno fa notare che la sicurezza dei consumatori deve venire al primo posto. Concordiamo ma non esiste neppure una letteratura scientifica che possa individuare reali problemi legati alla salute. Alcuni articoli puntano a far notare che la produzione di insetti per l’alimentazione provengono da paesi ed aree che presentano criticità sanitarie. Non siamo certi che il paese d’origine possa influenzare in modo determinante la qualità degli eventuali prodotti.

Un problema di allergie

Interessante, d’altro canto, la preoccupazione che alcuni soggetti possano sviluppare allergie. Le proteine da insetti potrebbero attivare gli allergeni e creare situazioni sostanzialmente pericolose. Il tutto nasce dal fatto che, molti insetti potrebbero attivare le stesse allergie già note, di cui soffrono alcuni consumatori. La più temuta è probabilmente quella legata agli artropodi ovvero crostacei, gamberi, ecc. Anche in questo caso la letteratura scientifica è ancora scarsissima e non esaustiva. Sembra un timore sviluppato ad arte, da chi vuole dare una connotazione negativa a priori.

Insetti facciamo chiarezza

Non voglio mangiare insetti !

È lo strillo che accompagna molti degli articoli dedicati al tema. In realtà il problema non si pone, non c’è alcuna possibilità di consumare cibi che contengano proteine da insetti, senza esserne informati. Non potranno essere aggiunti ai prodotti esistenti senza che vengano palesati in etichetta. Dovranno essere comunicate provenienza degli ingredienti, ed indicata la possibilità di allergie. Una garanzia di sicurezza per tutti coloro che temono di trovare insetti nella brioche della colazione o nel panino.

Già presenti in percentuali minime

Se la letteratura scientifica non ci viene incontro, va però rilevato che l’esperienza comune già ci dà indicazioni. Nelle farine che utilizziamo per panificare, fare dolci, fare polente, ecc, già sono presenti in percentuali minime, insetti che sono stati macinati all’interno dei molini. Li mangiamo da secoli senza accorgercene, sono quantità minime, ma sono presenti. In ogni caso attualmente è quasi impossibile trovare prodotti a base di proteine d’insetti, perciò il problema di scegliere se consumarli o meno è assolutamente prematuro. Verranno chiaramente indicati i prodotti che le contengono e starà al nostro livello di curiosità decidere se assaggiare questi “novel food” o soprassedere. Il tentativo di far passare l’idea che sarà una imposizione non ha alcun senso di esistere.

C’è un’etica in questo approccio

C’è un’etica nel tentativo di trovare proteine alternative ed è quella di salvare il pianeta. Ridurre le emissioni e l’impronta carbonica, lasciando intatte le possibilità di ottenere cibo sufficiente a sfamare 8 miliardi di persone. Se tutto questo è possibile utilizzando proteine originate da insetti, ben venga. È giusto cercare di mantenere le nostre tradizioni alimentari, ma le condizioni mutano, non possiamo pretendere bistecca o salsicce ogni giorno. Possiamo sicuramente virare verso una cucina che abbia un maggiore apporto di vegetali, ma le proteine sono necessarie. Sta a noi fare scelte che coinvolgano il futuro di tutto il pianeta. Insetti facciamo chiarezza

Insetti facciamo chiarezza

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Abitare, Benessere, Enogastronomia

Birra più sostenibile

Dalla partnership tra Unionbirrai e la start up Biova Project nasce un nuovo progetto contro lo spreco

A Rimini al Beer & Food Attraction succedono molte cose. Un numero formidabile di stand a rappresentare i birrifici e i micro-birrifici artigianali, ne fanno una delle fiere più importanti per il settore. Dall’accordo fra Unionbirrai, che rappresenta i piccoli birrifici indipendenti, e Biova Project, ha preso vita un progetto contro lo spreco alimentare. La start up innovativa nasce proprio per recuperare surplus di cibo, usando i propri centri di recupero in tutta Italia. Birra più sostenibile

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Un impegno a fare di più e meglio

Una vera chiamata all’azione contro lo spreco alimentare. I birrifici fanno parte del gruppo di aziende che produce scarti amidacei, in buona compagnia coi produttori di pane, pasta, riso. Rappresenta un buon punto di partenza per recuperare e trasformare ingredienti che, altrimenti, non sarebbero utilizzati. Una visione ecologica del problema, che consente anche di pensarlo in chiave economicamente vantaggiosa. Sostenibilità, riutilizzo, trasformazione, sono alla base di una green economy, a cui è giusto riservare sempre maggiore attenzione.

Uno spreco evidente

Il solo pane gettato ogni giorno dai consumatori italiani e gli invenduti, raggiungono cifre impensabili. Sono 13mila i quintali che finiscono nella spazzatura. Numeri che fanno ancora più impressione se immaginiamo che, con quel pane quotidiano, si potrebbero nutrire 25mila persone per un anno. Gli italiani consumano in media 52 chilogrammo di pane l’anno, e purtroppo, molto altro è sprecato, come avanzo indesiderato. La messa in rete della App Sprecometro, riesce a quantificare quanta della nostra spesa, finisce direttamente nel cassonetto. Uno spreco che non possiamo più permetterci.

Food innovation

Biova Project fondata nel 2019 a Torino, fa food innovation. Il suo obiettivo è ridurre lo spreco alimentare in tutto il pianeta, partendo dalle realtà italiane. Il mezzo è creare nuovi prodotti, che possano interessare ogni tipo di comunità, dal privato cittadino alle aziende. Un nuovo valore aggiunto, che sia vantaggioso economicamente e socialmente sostenibile. Hanno dato vita a diversi progetti locali, ed ora con questo accordo con Unionbirrai, puntano ad estendere il loro operato su tutto il territorio nazionale. Trasformare materie che sarebbero di scarto in prodotti riutilizzabili, è un’attività encomiabile. Una direzione corretta per un mondo migliore. Birra più sostenibile

Birra più sostenibile